Sacaria Areiza viene dalla Colombia, vive in Italia da tre anni. I primi mesi ha vissuto in strada, alla stazione Termini. Poi ha conosciuto i volontari della Caritas, è stato accolto allo Sportello del Centro Ascolto Stranieri, e passo dopo passo è riuscito a ricostruirsi una vita. Proprio in nome dell’aiuto gratuito è venuto oggi all’Ufficio Immigrazione: ha accompagnato due ragazzi, originari dell’Honduras e del Perù, che oggi non sono riusciti a passare. Lui invece ha già concluso tutta la procedura tempo fa.
Com’è andata oggi? Siete riusciti a entrare?
“No, oggi no. Anche se hanno preso l’appuntamento l’altro giorno. Ci sono tante persone, dall’Ufficio ne prendono un numero stabilito e basta, a quelli che non riescono oggi viene detto di tornare domani. Io grazie a Dio ho già fatto tutto questo, a oggi ho tutti i documenti in regola”.
Quindi la sua è stata un’esperienza positiva?
“Sì, molto, a differenza di tante persone che ho sentito. Dopo dieci mesi dal mio arrivo in Italia mi hanno dato tutti i documenti, incluso il passaporto. Quando sono venuto qui all’Ufficio non conoscevo nessuno, e non sapevo come funzionava. Ma ho conosciuto una persona buona che lavora qui e che mi ha spiegato tutta la procedura che dovevo seguire. Mi ha aiutato tantissimo”.
Chi sta dentro l’Ufficio che tipo di lavoro fa?
“È un lavoro forte e pesante per loro. A occhio penso che entrino 2000 persone al giorno e alcuni fanno casino, a volte la tensione si alza. Sono davvero tanti: guardi la fila qui davanti e l’altra che sta lì in fondo”.
Le cose sono cambiate rispetto a come le ricordava?
“Tre anni fa c’era una fila che girava tutto intorno, non si vedeva la fine. Arrivava fino alla fermata, anche più giù. In passato c’erano donne con bambini, e anche persone anziane. Ma adesso le cose sono cambiate, se vedono in fila persone più fragili le fanno passare prima. Però ci sono tante persone che continuano ad avere brutte esperienze. Gli dicono vai a casa, torna un altro giorno. Ci sono alcuni che rimangono qui fuori quattro, cinque giorni. Dormono qui, sotto la pioggia”.