Presentato ieri il Report Card 10, realizzato dal Centro di Ricerca Innocenti dell’Unicef, dal titolo “Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti”. Volto alla sua decima edizione, rappresenta il rapporto della povertà infantile nei paesi a reddito medio-alto. L’Unicef vuole così, stimolare la sensibilizzazione al tema anche per incentivare il governo ad avviare serie politiche che siano efficaci per abbattere le barriere della povertà.
Nella sede di via Palestro a Roma, il Presidente dell’Unicef Italia, Giacomo Guerrera, ha aperto la conferenza accompagnato dal curatore del rapporto Leonardo Menchini e dalla sociologa Chiara Saraceno. I dati sono stati raccolti seguendo due linee guida: l’indice di deprivazione dell’infanzia e l’esame della povertà relativa.
Deprivazione materiale dei minori. È un elemento nuovo e deriva da un’indagine condotta da European union’s Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) su 29 paesi europei. Per deprivazione materiale si intende la percentuale di bambini, tra 1 e 16 anni, che non ha accesso a beni, servizi o attività ritenuti “normali”, tra cui la socializzazione, l’istruzione, il cibo, il gioco, il vestiario e anche la connessione ad internet, divenuta ormai fondamentale per la vita quotidiana. I tassi più alti si registrano in Romania, Bulgaria e Portogallo ma anche Francia e Italia hanno una percentuale che supera la decina. I paesi nordici risultano i primi della classe europea. In tutto, sono 13 milioni i bambini e gli adolescenti che non riescono ad accedere agli elementi base per lo sviluppo.
Povertà relativa. 35 sono i paesi ricchi presi in esame nel mondo. Un bambino su 4 si trova in povertà. Al di sotto della “soglia di povertà” nazionale (il 50% del reddito medio disponibile dalle famiglie), vivono i bambini romeni e americani oltrepassando il 20%. Meglio per Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito con tassi tra il 10% ed il 15%. Sul podio, sempre i paesi del nord d’Europa ed i Paesi Bassi con il 7%. Sono stati considerati anche i parametri europei per considerare la soglia di esclusione sociale tracciata al 60% del reddito mediano equivalente.
Politica. Il rapporto ha esaminato anche l’impegno che ciascun governo ha preso in ambito di protezione sociale. Ciò dimostra che la povertà non è inestinguibile ma è legata alle scelte politiche. Ad esempio, anche se al momento è un paese poco popolare, la Germania ha registrato cambiamenti notevoli tra il prima delle manovre politiche (17%) e il dopo (8%). In Europa si organizzano vertici a tal proposito e nel lontano 2010, i capi di Stato e di governo di tutti i 27 paesi dell’UE hanno posto il 2020 come l’anno di traguardo in cui 20 milioni di cittadini europei verranno tirati via dallo stato di povertà. Al momento, poco è stato fatto. Ma mancano otto anni. C’è tempo per criticare.
Sara Stefanini