I giornali vendono sempre meno. Lo dice Audipress, lo dicono i grandi gruppi che li posseggono. Quasi un milione e ottocentomila italiani nell’ultimo anno hanno deciso di non comprare più quotidiani. Forse anche perchè c’è il più comodo e modaiolo online che permette di accedere a contenuti multimediali con un semplice click. Se i lettori diminuiscono, anche gli investimenti pubblicitari fanno altrettanto. A guardare i dati forniti da Nielsen nel terzo trimestre 2013, le casse dei giornali perdono un 23% d’inserzionisti. Un dato importante per la grande editoria; una tragedia vera e propria per i pesci piccoli che vivono di sola pubblicità.
Il problema è il calo di pubblicità. Giampaolo Roidi, direttore di Metro, uno dei tre quotidiani a distribuzione gratuita ancora esistenti in Italia, insieme a Leggo e DNews spiega che “La crisi è congiunturale e la free press ne soffre più della stampa tradizionale perché non ha altro mezzo al di fuori della pubblicità per finanziarsi”. Non è, dunque, il mezzo – il quotidiano gratuito – di per sé in crisi, ma tutto il sistema editoriale che si basa sulle inserzioni pubblicitarie, che ora scarseggiano. Che si tratti di free press o di quotidiani tradizionali non c’è differenza. Perchè il problema è sia nazionale che locale. Non ci sono più inserzionisti disposti a finanziare la free press, non solo a tiratura nazionale, ma anche e soprattutto nelle edizioni locali. Lo dimostra la scelta obbligata di Metro, che ha dovuto chiudere le due sedi in Sardegna (a Cagliari e Sassari) per mancanza di fondi, che fino a pochi mesi fa venivano assicurati dalla pubblicità locale.
Chi soffre e protesta. Oltre al gruppo Metro ci sono anche altri casi di sofferenza: la Gazzetta di Parma, che aveva chiesto lo stato di crisi lo scorso 25 settembre, e il Piccolo di Trieste.
Di ieri infatti è la notizia che il comitato di redazione e i giornalisti de Il Piccolo “si sono visti costretti allo sciopero”, così si legge nel comunicato della Fnsi, “per portare pubblicamente in luce una situazione non più accettabile. Peraltro, la situazione di degrado organizzativo e produttivo dell’ambiente di lavoro è ritenuta dai colleghi non più tollerabile, anche alla luce di un incidente sul lavoro che solo per fortuna non ha avuto pesanti conseguenze”.
Lorenzo Caroselli