MILANO – Notte di disordini a Corvetto di Milano dopo la morte di Ramy Elgaml. Centinaia di giovani sono scesi in strada a manifestare. Fumogeni, petardi e urla per esprimere tutta la rabbia per il decesso del giovane. I suoi amici sono convinti che a uccidere il loro amico siano stati proprio i militari.
Alle prime ore di domenica scorsa, Ramy Elgaml, 20enne di origini egiziane, è morto a bordo del TMax guidato da un suo amico. Ramy senza casco, il suo amico 22enne, di origini tunisine, senza patente. Non c’è stato nulla da fare per il giovane che ha perso subito conoscenza, morendo sul colpo. I due hanno cercato di seminare i carabinieri che li stavano inseguendo dopo che i giovani avevano eluso un posto di blocco.
Folco Cimagalli, professore di sociologia generale presso l’università Lumsa di Roma, ci ha spiegato cosa sta succedendo alle periferie e perché, casi come quello avvenuto a Milano, devono aiutarci a riflettere.
Cosa ci racconta delle periferie, da un punto di vista sociologico, quello che è accaduto a Milano?
“Innanzitutto parliamo di periferie in modo diverso rispetto a qualche decennio fa. Possiamo parlare di ‘distanza sociale’. Le periferie sono territori esclusi, che spesso non hanno un legame rispetto alla vita sociale, economica e culturale della città. È un tema di esclusione sociale, di mancanza di senso. A patire questo clima, il più delle volte sono proprio i giovani che vivono un profondo senso di frustrazione e di isolamento. Molti studiosi, a questo proposito, utilizzano l’espressione ‘disaffiliazione’, per dire di uno scollamento”.
Il degrado in cui sono lasciate alcune periferie sono la conseguenza diretta di un abbandono anche da parte delle istituzioni?
“Si, purtroppo questo è un problema. È anche vero che da alcuni anni notiamo, attraverso il Pnrr, una certa vitalità. Ma si tratta di una vitalità che spesso si muove più dal territorio, dagli attori locali come le associazioni, piuttosto che le istituzioni, le quali non sono riuscite a incidere in maniera forte sulla vita delle persone”.
C’è il rischio che queste periferie, non solo a Milano, diventino come le banlieue parigine?
“Sì, il rischio c’è. Sono luoghi in cui si concentrano fragilità economiche, sociali, culturali. Pensiamo, a esempio, ai giovani figli di immigrati che vivono un vero e proprio problema di identità. Non è facile, senza un supporto, trovare per il giovane una risposta. La risposta, il più delle volte, passa per la criminalità. C’è un forte problema di integrazione. Perché per troppo tempo in Italia abbiamo pensato all’immigrazione in termini di emergenza, ma non si è mai pensato all’integrazione in un secondo livello. Non è solo una questione di posti letto ma di integrazione”.