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“Latte miele e Felafel”: il libro che racconta volti e contraddizioni della società israeliana

di Fabio Grazzini22 Ottobre 2013
22 Ottobre 2013

FelOKUn Paese cangiante, dai mille volti, complesso e affascinante. E’ l’Israele raccontato da Elisa Pinna nel suo ultimo libro, “Latte miele e Felafel. Un viaggio tra le tribù di Israele”. L’autrice, giornalista dell’Ansa per le questioni mediterranee e mediorientali, descrive una società composta da numerosissime realtà, spesso minoritarie, spaziando dagli ebrei ultraortodossi agli abitanti dei kibbutz, dai coloni alle comunità di immigrati, dai drusi ai cristiani di espressione ebraica.

Dai kibbutz alle imprese capitalistiche. «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare – spiega la Pinna – non ho trovato grandi difficoltà nel mio lavoro. Perché tutte le comunità che ho incontrato in Israele sono state estremamente disponibili e anzi desiderose di raccontare la loro storia. Tutte tranne una, che è quella degli ultraortodossi religiosi, una comunità molto chiusa che vede con diffidenza tutti gli stranieri e difficilmente parla con le donne».
Nel suo libro l’autrice tratteggia una società in evoluzione, passata negli ultimi anni da fallimentari esperimenti socialisti a floride realtà capitalistiche: «Lo Stato di Israele ha assunto in sé tutti quei compiti, quel lavoro, che prima veniva fatto in maniera collettiva all’interno del kibbutz, che ha perso quasi del tutto il senso della sua missione. I ragazzi infatti hanno cominciato ad abbandonare il kibbutz per andare a vivere in città, dove c’erano più opportunità, sia di divertimento che di lavoro. Ora però – glossa la Pinna – queste comunità stanno rinascendo come imprese capitalistiche. Diciamo che oggi i kibbutz socialisti sono veramente rari. Credo di essere stata in uno dei pochi sopravvissuti dove ancora non ci sono stipendi, dove tutti prendono un rimborso mensile, dove in qualche modo ancora si vive in collettività».

Le tensioni tra diverse comunità. Altro aspetto importante fatto emergere dalla giornalista è quello che riguarda il rapporto tra i diversi gruppi di ebrei – ciascuno dotato di una propria peculiare visione del mondo – all’interno di Israele. In particolare, quando dopo la Seconda Guerra Mondiale il sionismo aprì le proprie porte, oltre che agli ebrei europei, anche agli ebrei dei paesi del Nord-Africa, arrivarono «centinaia di migliaia di persone, ebrei, ma di cultura araba, che erano quanto di più lontano possibile dagli ebrei europei che fino a quel momento avevano popolato Israele. Il loro incontro fu quindi inevitabilmente un vero e proprio choc: infatti per gli ebrei europei vedere quest’ultimi arrivati che non avevano nessuna idea di che cosa fosse il sionismo, di cosa fossero i diritti democratici, dell’uguaglianza tra uomo e donna, provocò una forma di rigetto che condusse a considerare gli ebrei arabi come ebrei di serie b». Una discriminazione che rappresentò una delle prime fratture interne alla società israeliana che, come ricorda il padre custode di Terra Santa, Fra Pierbattista Pizzaballa, ha oggi come compito principale quello di dare risposta a numerosissime domande di identità che «piaccia o meno, devono relazionarsi in maniera sempre più armonica con tutte le altre, sia sotto l’aspetto laico che sotto quello religioso».


Fabio Grazzini

 

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