WASHINGTON – È scoccata l’ora X, l’America è chiamata a votare il suo nuovo presidente. Poche ore separano dall’eventuale vittoria la vicepresidente democratica Kamala Harris o il tycoon repubblicano Donald Trump, già 45esimo inquilino della Casa Bianca. I primi risultati dovrebbero arrivare all’alba, con i seggi statunitensi pronti a chiudere all’una di notte italiana.
A votare per primi, secondo una tradizione del 1960, sono stati gli abitanti di un piccolo villaggio nel New Hampshire, Dixville Notch. Lì, i sei elettori – quattro repubblicani e due indipendenti – hanno dato tre voti a testa ai candidati. Immagine esemplare di un paese spaccato nel profondo. La campagna elettorale, per entrambe le parti, è stata lunga e difficile, senza esclusioni di colpi.
“Questa potrebbe essere una delle elezioni più serrate della storia: “Ogni voto conta”, ha dichiarato Harris durante il suo ultimo evento, in Pennsylvania. La scelta del luogo non è casuale. La Pennsylvania è uno dei sette Swing States, gli stati in dubbio, quelli che eleggono il numero maggiore di Grandi elettori e che potrebbero essere l’ago della bilancia in un momento in cui nulla è dato per scontato.
Anche Trump ha scelto quegli stati per i suoi ultimi comizi, andati per lo più deserti. “Kamala invaderà il Medio Oriente”, ha detto in Michigan ad arabi e musulmani, “lei e il suo gabinetto guerrafondaio faranno uccidere milioni di musulmani e inizieranno la Terza guerra mondiale”. L’ex presidente ha cercato il consenso delle minoranze. Arrivato in Pennsylvania, ha continuato con la sua retorica fatta di violenza fino all’ultimo, suggerendo un incontro di pugilato tra Harris e Mike Tyson. “Mettete Mike sul ring con Kamala”, ha urlato, “sarà interessante”.