Lontanissime le statunitensi Yale ed Harvard. O la Columbia University di New York. E persino la Sorbona di Parigi sembra sin troppo distante. Per la loro formazione d’eccellenza gli aspiranti medici italiani scelgono la scommessa di un’università più vicina e un Paese dalle prospettive un po’ più incerte: lo stato è l’Albania, l’università è l’ateneo “Nostra signora del Buon Consiglio” di Tirana.
Studenti in fuga. Bocciati nel nostro Paese, se ne vanno nello stato balcanico, dove la concorrenza è molto meno aggressiva. 596 studenti, che nelle università italiane non sono riusciti a superare il test di ingresso alle facoltà prescelte, hanno provato ad accedere ai corsi di studi dell’ateneo albanese (diverso dalla “Kristal”, quello che concesse al figlio di Umberto Bossi una laurea molto contestata). Il test è più semplice: 60 domande, solo di scienze, niente cultura generale. Il voto del diploma vale fino a 30 punti, sui 90 previsti. Corsi in italiano, numero di studenti ridotto, titolo riconosciuto anche da due università italiane (Torvergata e la Statale di Milano). Retta da pagare: fra i 7 e gli 8mila euro all’anno. Poche le borse di studio. Ma il costo della vita, assicurano gli italiani che già ci studiano, è molto basso.
Nato intorno ad un vecchio ospedale, dal 1993 i religiosi del beato Luigi Monti hanno iniziato a costruire l’università, con il beneplacito di Giovanni Paolo II, e dal 2004 l’Ateneo ha iniziato i corsi. Dal 1995 sono funzionanti un poli ambulatorio, un laboratorio di analisi chimico-cliniche e una farmacia. Dal 18 maggio del 2011 hanno avuto il riconoscimento della Santa Sede come università cattolica.
Superate le iniziali difficoltà burocratiche, il governo ha approvato numerose concessioni alla nuova università, grazie agli accordi fra la Chiesa Cattolica ed il governo albanese del 1993. Gli spazi per costruire nuove aree sono stati assegnati gratuitamente, come parziale risarcimento per i beni che il passato regime aveva sottratto alla chiesa albanese. Tirana adotta gli stessi programmi e gli stessi testi delle università italiane.
Altre mete. Sembrano passati anni luce da quell’8 agosto del 1991, quando una nave che trasportava zucchero fu assaltata da disperati albanesi per raggiungere l’Italia, la loro terra promessa. Carica di persone, arrivò a Bari. Non senza polemiche, i profughi vennero comunque in gran parte rispediti da dove erano venuti. Per la prima volta eravamo diventati un punto d’arrivo, non di partenza. Ora siamo noi ad approdare da loro.
In realtà sono molti i Paesi stranieri dove gli aspiranti medici italiani provano ad andare per studiare quello che vogliono. Un’altra delle mete più agognate è la Romania, dove il concorso d’ammissione era, fino a qualche anno fa, abbastanza semplice. Una delle studentesse italiane racconta la sua esperienza: “Qui, hanno un buon metodo di studio. Ci sono parecchie ore di pratica in ospedale, per creare da subito il rapporto medico- paziente. Seguiamo i corsi separatamente, in aule di 20 alunni al massimo – un metodo che ci consente di apprendere al meglio, sia durante le ore di corso che di laboratorio. Nel semestre, veniamo sottoposti a prove intercorso che ci consentono di essere ammessi di volta in volta agli esami, che sono divisi in esami di laboratorio e di teoria”.
Naturalmente è critica nei confronti del concorso italiano: “E’ un sistema stupido. Come si può pensare che si diventerà medico soltanto per aver superato un test, che tra l’altro non ha molto a che vedere con questioni strettamente legate alla medicina?”.
L’escamotage degli studenti era quello di iscriversi all’estero e poi chiedere il trasferimento in Italia. Ma ora le università rifiutano il trasferimento per quei ragazzi che vorrebbero ritornare. Bisogna passare il concorso nel nostro Paese.
Agli aspiranti medici italiani, non resta che l’Albania.
Domenico Mussolino