Giorgio Mottola è giornalista, documentarista e scrittore, da oltre dieci anni inviato della redazione di Report. Con Lumsanews commenta i limiti al diritto d’informazione alla luce della recente inchiesta sul presunto dossieraggio in cui sono indagati tra gli altri tre giornalisti del quotidiano Domani.
L’inchiesta di Perugia sul presunto dossieraggio come sta mettendo alla prova l’informazione?
“Questa vicenda va trattata in modo diverso rispetto agli altri casi. Non è né una semplice fuga di notizie, né una rivelazione di un segreto istruttorio. Parliamo di rapporti singoli, uno a uno, esercitati da una figura importante nell’Antimafia che ha fatto accessi ritenuti illegali a banche dati, forse per soldi, per spirito di giustizia e verità o forse per amicizia. Ecco perché non ne farei una storia di sistema. Parliamo di un singolo soggetto che su input, probabilmente di alcuni giornalisti, ha fatto accesso a una banca dati: una cosa completamente diversa da quella che è l’attività giornalistica stretta”.
A causa di quello che è successo non crolla il metodo che teoricamente ha sempre prevalso nel giornalismo d’inchiesta?
“No, non crolla il metodo. Di solito il giornalista viene a conoscenza di una notizia segreta in un contesto in cui le indagini sono già partire e ne dà notizia. Qui invece parliamo di informazioni che sono state ottenute, secondo le accuse, in modo illegale. Quindi farei attenzione a parlare di una crisi del giornalismo d’inchiesta”.
Il ministro Guido Crosetto, una delle parti offese, ha chiesto di risalire alle fonti dei cronisti, che però dovrebbero essere coperte dal segreto professionale. Si può parlare di assalto alla libertà di stampa?
“Se parliamo di caccia alla fonte – e dunque dell’origine dell’inchiesta – allora sì, ed è qualcosa di vergognoso. Ma non siamo di fronte al solito attacco alla libertà di stampa. Se questa inchiesta avesse riguardato dei giornali di destra, parleremmo già di macchina del fango, bisogna essere sinceri. Ora non si tratta ancora di dossieraggio. Io credo che oggi il quadro non è sufficientemente chiaro per assumere una posizione sul merito della questione”.
Eppure la politica, oltre alle violazioni, ha condannato in maniera bipartisan anche i giornalisti. Come mai?
“La politica è sempre più intollerante alla libera attività del giornalismo d’inchiesta. Questo è chiaro. Ma qui, invece di condannare o prendere posizione a favore, bisogna aspettare e capire veramente che cosa è successo. In passato abbiamo avuto vari casi di dossieraggio. Ricordiamo il caso dell’ex brigadiere Giuliano Tavaroli condannato nell’inchiesta Telecom, ma lì il quadro che emerse era fortemente destabilizzante. Qui invece dobbiamo chiarire perché ci sono stati tutti questi accessi abusivi al sistema. Se la ragione è stata investigativa allora siamo qui tutti intorno a stringerci alla libertà di informazione e alla persecuzione dell’attività del giornalismo investigativo. Qualora però si dimostrasse che quelle erano libere iniziative di un membro della polizia giudiziaria e di un singolo magistrato non inquadrate all’interno di indagini, si dovrà assumere una posizione diversa. Di sicuro la democrazia non muore in questo modo”.