Dalla guerra in Ucraina alla morte di Navalny sono molte le incognite che aleggiano sulla quinta rielezione al Cremlino di Vladimir Putin. Ne abbiamo parlato con Mattia Massoletti, analista dell’ISPI(Istituto per gli Studi di politica internazionale).
A due anni dal suo inizio a che punto è il conflitto tra Russia e Ucraina e quali sono le sue prospettive future?
“Il 2022, il primo anno di guerra, è stato l’anno della riscossa di Kiev che, in qualche modo, aveva dimostrato di poter resistere all’invasione su larga scala della RUssia e di potere completare operazioni che hanno permesso la riconquista di territori importanti (risentire). Il 2023, raccontato anche dai media italiani internazionali e italiani come quello che avrebbe portato a una svolta positiva per l’Ucraina, è invece stato l’anno dello stallo perché, valutando le percentuali di territorio riconquistate, è evidente che la controffensiva è fallita. Il 2024, sulla base di quello che si è osservato in questi primi due mesi, l’iniziativa sembra essere tornata, per diversi motivi, dalla parte della Russia. Uno di questi è sicuramente il diminuito supporto occidentale sia in termini bellici che finanziari. Forse, se nel 2025, il sostegno occidentale si rafforzasse potremmo vedere l’inerzia di nuovo a favore dell’Ucraina”.
Quale può essere il ruolo dell’Occidente nel conflitto ucraino, oltre a fornire un sostegno economico e finanziario?
“L’Occidente – inteso come Unione europea e Stati Uniti – se si vanno a considerare i dati relativi al 2022 e al 2023, ha sostentato l’Ucraina con 116 miliardi destinati sia ai rifornimenti militari che agli aiuti umanitari. Attualmente sembra che questa mole di aiuti finanziari andrà ad assottigliarsi nel 2024: l’Ue, infatti, ha approvato un pacchetto da 50 miliardi per il periodo dal 2024 al 2027. C’è poi il nodo degli Stati Uniti. Il Senato, a maggioranza democratica, ha approvato un pacchetto da 60 miliardi di aiuti, ma è tuttora bloccato alla Camera dei rappresentanti, a maggioranza repubblicana. Anche se gli aiuti dovessero essere approvati, potrebbero essere gli ultimi se Donald Trump vincesse le elezioni presidenziali a novembre”.
Può avere un ruolo di mediatore diplomatico?
“Penso che, al momento, l’Occidente non possa essere un attore credibile in questo senso. Basti pensare alle recenti parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden su Vladimir Putin, che lasciano pensare che siamo lontani da eventuali negoziati. Negoziati che, invece, potrebbero diventare uno scenario plausibile laddove la situazione diventasse particolarmente critica per Kiev”.
La riduzione degli aiuti è dovuta a una sorta di stanchezza occidentale?
“Indubbiamente le opinioni pubbliche europee si sono dimostrate un po’ stanche di recente, ma l’Europa nella sua totalità è ancora propensa ad aiutare il popolo ucraino. Più che altro non si capisce se l’industria bellica europea sarà in grado di sostenere l’Ucraina nel caso in cui mancasse il supporto di Washington”.
Che ruolo ha, invece, la guerra in Ucraina rispetto alla probabile quinta rielezione di Putin? Ha il potere di metterlo in difficoltà?
“La guerra in Ucraina è traumatica non solo per noi europei, ma anche per i cittadini russi. Eravamo arrivati a un buon livello di integrazione con Mosca, che beneficiava di accordi commerciali vantaggiosi soprattutto relativi al settore energetico. Tutto questo è venuto meno dopo l’invasione dell’Ucraina. Molti russi vivono, dall’altra parte, come se la guerra non esistesse: è una sorta di meccanismo di difesa. La guerra in Ucraina è una vera e propria manovra di rischio da parte di Putin, che non si era mai esposto così tanto. Si tratta, infatti, della prima guerra su larga scala in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Le elezioni, però, indubbiamente arrivano nel momento migliore poiché, come dicevo prima, la Russia al momento sta riguadagnando l’iniziativa e il supporto occidentale inizia a vacillare. Putin si è dimostrato in grado di gestire tutti gli stress test che rischiavano di minare il suo regime, come accaduto lo scorso anno con la rivolta della Wagner e la conseguente eliminazione di Prigozhin”.
Invece la morte di Alexei Navalny, il suo principale oppositore politico, come si colloca rispetto a questo scenario?
“Dal mio punto di vista la morte di Navalny, pur non potendosi con certezza ricondurre a Putin, gli è funzionale. Quella di Navalny era una figura che, in eventuali situazioni di difficoltà future, avrebbe potuto compattare l’opposizione. Nonostante la sua morte non abbia ovviamente cancellato l’opposizione russa, la figura di Navalny era molto carismatica. Aveva utilizzato intelligentemente i social e YouTube per mettere in imbarazzo Putin e il Cremlino. Io non sono convinto che al momento, nonostante molti cittadini russi – se potessero – andrebbero a protestare, ci sia una figura tanto carismatica da poter mostrare all’opposizione e al mondo russo un’alternativa a Putin. Anche nella remota ipotesi in cui dovesse cadere, non sembrano esistere alternative alla sua figura”.