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"I giovani russi
non sono tutti soldati
pronti a immolarsi"

L'analista di politica internazionale

Giorgio Cella a LumsaNews

di Maddalena Lai05 Marzo 2024
05 Marzo 2024

L'analista di politica internazionale Giorgio Cella

La quasi certa quinta rielezione di Putin, gli pone dinanzi non poche incognite determinate sia dalle sorti della guerra in Ucraina che dal dissenso dei suoi oppositori. Ne abbiamo parlato con Giorgio Cella, analista di politica internazionale e autore del libro Storia e geopolitica della crisi ucraina (Carocci, 2021).

A due anni dall’inizio dell’invasione russa a che punto è la guerra in Ucraina? 

Attualmente siamo ad un punto morto, soprattutto per quanto riguarda la dimensione diplomatica e negoziale. Mesi fa c’erano dei tavoli negoziali a cui ha preso parte la Turchia e anche diversi paesi africani avevano avanzato le proprie istanze di pace. Tutto questo, oggi, sembra essere svanito. Dal punto di vista militare, invece, si va avanti con una guerra di varie intensità. Molto alta da alcuni punti di vista, mentre, per altri frangenti, si tratta di una guerra di trincea, che mischia la guerra tecnologica dei droni e dei missili ipersonici con un armamentario quasi da prima guerra mondiale. La Russia, in qualche modo, al momento sta avanzando, anche se con grosse perdite. Sta conquistando altre terre ucraine, ma non le città più grandi”. 

Cosa accadrebbe se la Russia prevalesse nel conflitto?

“Innanzitutto bisogna vedere cosa si intende per vittoria, dal momento che tutto galleggia, per ora, in una volatilità totale. Certo che se i russi dovessero arrivare al punto di avere un saldo controllo delle nuove quattro regioni conquistate  o di gran parte di esse potrebbe essere un problema molto grave per la sicurezza e la stabilità europea. Porrebbe inoltre un brutto precedente dal punto di vista del diritto internazionale, che verrebbe calpestato. Questo andrebbe contro tutte quei principi e quelle politiche su cui gli Stati Uniti si sono fondati dal ‘45 in poi e che poi hanno portato alla situazione post Guerra fredda. In quel caso, infatti, si trattava di containment. Si può definire tale anche quello che gli americani hanno voluto fare nei confronti dell’Ucraina”.  

L’Occidente, inteso come Unione europea e Stati Uniti, come può porsi rispetto al conflitto?

“L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è stata una wake up call sia per l’Europa che per la Nato. A differenza di quanto affermato da Macron qualche anno fa – la definì un’organizzazione ormai morta – la Nato si è ricompattata dall’inizio del conflitto, includendo anche due nuovi stati membri, Svezia e Finlandia. La situazione in Ucraina ha portato l’Europa a una nuova unità e a considerare l’idea di un’autonomia strategica. Del resto, sono settant’anni che, in Europa, tentiamo di parlare di un fronte comune in termini di politica estera e difesa comune. Al momento dello scoppio del conflitto, Stati Uniti e Ucraina si sono comportati meglio di quanto preventivato in termini di unità di intenti, ma allo stesso tempo da parte degli USA c’è una qualche ambiguità nell’assistenza all’Ucraina. Un’ambiguità che si spiega alla luce del fatto che, sebbene la Russia sia stata danneggiata pesantemente dal punto di vista militare in termini di risorse, uomini e munizioni, è sempre una minacciosa potenza nucleare e gioca ancora molto su quel fronte. Il margine di incertezza, invece, rispetto all’Unione europea è dato dalle frizioni interne tra i vari stati. Come si orienteranno in futuro dipende dal risultato delle elezioni europee di giugno, ma ancor di più da quello delle presidenziali americane a novembre”. 

Il conflitto russo-ucraino rischia di mettere in discussione la leadership di Putin agli occhi dei cittadini?

“Il consenso tiene, ma sicuramente da un lato si è eroso, anche perché entriamo nel 24 anno della leadership di Putin. Molto dipende sia dalla pressione militare, che dalle sanzioni o da altri strumenti che l’Unione europea e gli Stati Uniti riusciranno ad applicare alla Federazione russa. La lunga durata della guerra fa male all’Occidente, ma fa male anche alla Russia. Ci sono tanti giovani – quasi un milione – che sono scappati fuori dai confini in Georgia o in Armenia per scampare al reclutamento. I giovani russi, poi, non sono tutti soldati pronti ad immolarsi nelle guerre di Putin. Una buona parte dei suoi cittadini più giovani è per certi versi attratta e vive uno stile di vita tutto sommato occidentale, e la situazione per loro – se continuerà per anni – diventerà sempre più pesante e limitante, basti pensare alle difficoltà poste in essere per raggiungere i paesi europei. Poi la Russia è un’autocrazia di ferro, farla traballare è difficile. Hanno un sistema autoritario repressivo che soffoca qualsiasi tipo di ribellione sul nascere, ma è chiaro che la guerra in Ucraina determini delle tensioni all’interno del Paese, specie se destinata a protrarsi per un terzo anno. L’altro aspetto che potrebbe mettere in difficoltà Putin è quello economico. Le sanzioni hanno messo in crisi determinati settori industriali e commerciali, ma non sono riusciti a mettere in ginocchio l’economia russa nel suo globale”. 

Come impatta, invece, la morte di Navalny alla luce della quasi certa quinta rielezione di Putin? 

“Non credo impatti significativamente sulle prossime elezioni del 17 marzo, perché Navalny era molto popolare in Occidente oltre che in Russia. È vero che le sue inchieste hanno fatto molte visualizzazioni, ma da lì a declinare questa sua notorietà sul piano elettorale il passo sarebbe stato difficile.  Soprattutto visto come funzionano le elezioni in Russia. Non credo che la sua morte avrà effetto nel breve termine, ma forse lo avrà nel medio e lungo periodo la sua morte e le azioni di contrasto all’autoritarismo di Putin, soprattutto puntando sulle giovani generazioni.  Una questione importante è, in questo senso, il gap generazionale interno alla Russia che si rifletteva anche nel contrasto tra Putin, che ha ormai più di settant’anni, e Navalny, che ne aveva appena 47”.

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