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Le voci del dissenso
verso Putin e il suo operato
soffocate negli ultimi anni

Dalla giornalista Anna Politkovskaja

all'ultimo oppositore Alexei Navalny

di Maddalena Lai05 Marzo 2024
05 Marzo 2024

Alexei Navalny | Foto Ansa/Epa

Nei quasi venticinque anni al potere di Vladimir Putin sono numerosi i suoi oppositori ad essere morti in circostanze poche chiare. Ecco le loro storie. 

Anna Politkovskaja (1958-2006)

Anna Politkovskaja inizia a lavorare come giornalista presso il quotidiano moscovita Izvestija che lascia nel 1993. 

Nel 1999 inizia a lavorare per la Novaja Gazeta, pubblicando alcuni libri fortemente critici sull’operato di Vladimir Putin nella seconda guerra cecena, denunciando gli abusi commessi dalle forze militari russe, dai ribelli ceceni e dall’amministrazione sostenuta dalla Russia e guidata da Achmat e Ramzan Kadyrov. 

Le sue inchieste giornalistiche gli sono valse grande popolarità in Occidente tanto che le viene commissionata la scrittura di La Russia di Putin. Nel libro la giornalista denuncia le falsificazioni effettuate dai vari funzionari dell’esercito: creazione di false prove e documenti, torture e processi farsa. Alcuni passaggi si soffermano sulla descrizione di specifici personaggi come il colonnello Budanov e il mafioso Fedolev. 

Nel 2001 Politkovskaja è costretta a fuggire a Vienna per via delle ripetute minacce per posta elettronica da Sergei Lapin, un ufficiale dell’OMON che ha accusato di crimini contro la popolazione civile in Cecenia (l’uomo sarà poi condannato nel 2005 per abusi e maltrattamenti aggravati su un civile ceceno e per falsificazione di documenti).  

Nel 2004, mentre si stava recando in volo a Beslan, dopo aver bevuto un tè datole a bordo viene improvvisamente colpita da un malore e perde coscienza. Si suppone un suo avvelenamento. Due anni più tardi, il 7 ottobre del 2006, Anna Politkovskaja viene trovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca. Accanto al suo corpo una pistola e quattro bossoli. L’8 ottobre la polizia russa sequestra il computer della giornalista e tutto il materiale dell’inchiesta a cui stava lavorando. Il 9 ottobre, l’editore della Novaja Gazeta dichiara che Politkovskaja avrebbe dovuto pubblicare un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene.

Il vicedirettore della Novaja Gazeta, Vitalij Jaroševskij, a poche ore dal suo omicidio dichiara che “Anna è stata uccisa a causa del suo lavoro. Non vedo altre motivazioni per questo efferato delitto”. 

Le indagini sull’omicidio sono lacunose e si concludono alcuni mesi più tardi senza l’individuazione dei mandanti. Il processo di primo grado, conclusosi il 19 febbraio 2009, vede l’assoluzione dei tre imputati: due criminali comuni ceceni e l’ex dirigente della polizia moscovita Chadžikurbanov, accusato di essere l’organizzatore logistico del delitto. La sentenza di assoluzione venne poi annullata dalla Corte Suprema russa. In seguito a un ricorso presentato dai familiari della vittima, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha depositato il 17 luglio 2018 una sentenza di condanna per Mosca, accusata di non aver condotto un’inchiesta efficace per determinare chi abbia commissionato l’omicidio. 

 Alexander Litvinenko (1962-2006)

Arruolatosi nell’Armata Rossa, viene poi notato dai reclutatori del KGB. Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1991, viene inglobato nelle file del FSB (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa). 

Litvinenko assume una posizione fortemente critica del presidente Vladimir Putin e accusa i suoi superiori di aver organizzato un piano per assassinare il milionario Boris Abramovic Berezovskij, che verrà trovato poi morto nella sua residenza nei pressi di Londra in circostanze non chiarite il 23 marzo 2013. Apparentemente l’uomo si sarebbe suicidato. 

Litvinenko viene accusato di aver maltrattato un arrestato nel corso di un interrogatorio. A suo carico una videocassetta che mostra un militare che picchia un uomo seduto. Procurandosi il video originale Litvinenko riesce a dimostrare la sua innocenza. Ciononostante viene comunque imprigionato per otto mesi in attesa del processo e successivamente rilasciato per insufficienza di prove. Non sentendosi al sicuro in Russia decide di andare in esilio.

Nel 2002 pubblica il libro Blowing up Russia: Terror From Within in cui accusa gli agenti del FSB di essere i veri responsabili di una serie di attentati esplosivi verificatisi in Russia tra l’agosto e il settembre del 1999 che hanno fatto più di 300 vittime. Ufficialmente attribuiti ai separatisti ceceni sarebbero stati un becero pretesto per giustificare le operazioni militari russe in Cecenia. Nel successivo libro Gang from Lubyanka accusa Putin di esserne il mandante. 

Il 23 novembre 2006 Litvinenko muore a causa di un avvelenamento da radiazione da polonio-210, un isotopo radioattivo del polonio. Successivamente tracce di polonio sono state rinvenute in diversi locali nei quali l’uomo si è trovato prima del ricovero, in particolare nel sushi bar Itsu di Piccadilly. 

Prima di morire Litvinenko accusa pubblicamente il presidente russo Vladimir Putin di essere responsabile del suo avvelenamento e il mandante dell’omicidio della giornalista Anna Politkoskoskaja. In un articolo scritto quello stesso anno, inoltre, lo accusa di essere un pedofilo. 

Sergei Leonidovič Magnitsky (1972-2009) 

Avvocato russo di origine ucraina ha denunciato la corruzione e la cattiva condotta da parte dei funzionari governativi russi mentre rappresentava Hermitage Capital Management, accusata di evasione e frode fiscale dal ministero degli Interni russo. La compagnia aveva più volte diffuso informazioni inerenti alla cattiva condotta aziendale e alla corruzione interna alle aziende russe di proprietà statale. 

Magnitsky scopre che i documenti sequestrati dalla polizia russa alla società sono stati utilizzati per falsificare un cambio di proprietà dell’Hermitage. I ladri hanno poi utilizzato contratti contraffatti per affermare che Hermitage doveva 1 miliardo di dollari alle società di copertura. Tali affermazioni, successivamente, sono state autenticate dai giudici. 

La testimonianza di Magnitskij, quindi, in questo senso, coinvolge la polizia, la magistratura, i funzionari fiscali e la mafia russa. Riesce a spuntarla nel caso, ottenendo il più grande sconto fiscale nella storia russa. Le autorità russe, però, invece di avviare un processo contro la polizia e i ladri – reali responsabili nella vicenda – aprono un procedimento penale contro Magnitsky. 

Nel 2008 è arrestato con l’accusa di frode fiscale e nel 2009 muore in carcere dopo quasi un anno di detenzione, ufficialmente per arresto cardiaco, ma si sospetta che, in realtà, sia stato torturato fino alla morte. I diari che Magnitskij scrive durante la sua detenzione – pubblicati più tardi dalla Novaja Gazeta – raccontano le durissime condizioni di vita nel carcere di Butyrka. 

Anni dopo la sua morte ia corte russa ha ammesso che le condizioni di salute del detenuto sono state sottovalutate dallo staff medico del penitenziario, ma diverse commissioni indipendenti finanziate dagli Stati Uniti sostengono invece la tesi dell’omicidio volontario. 

Boris Nemtsov (1959-2015)

Politico russo di origini ebraiche, vicepremier del governo di Boris Eltsin e cofondatore del partito Unione delle Forze di Destra, che raggruppava alcune organizzazione e movimenti politici indipendenti all’opposizione del governo guidato da Vladimir Putin. 

L’opposizione alla visione politica di Putin inizia già nel 2000 quando Nemtsov critica le azioni del presidente giudicandole una regressione della democrazia e delle libertà civili in Russia. 

Alle elezioni parlamentari del dicembre del 2003 Nemtsov e il suo partito non superano la soglia di sbarramento del 5% per entrare in Parlamento. L’esito, tuttavia, è messo in dubbio sia dagli exit poll sia dal conteggio dei voti parallelo condotto da osservatori indipendenti. 

Nel 2004 scrive, insieme al suo collega di partito Vladimir Kara-Murza, un appello alla maggioranza di governo redarguendola sui pericoli dell’imminente dittatura di Putin. Nel novembre del 2007 Nemtsov viene arrestato nel corso di una protesta non autorizzata contro il presidente Putin e liberato il giorno stesso. Nel 2008 insieme a Garry Kasparov collabora alla formazione del movimento politico di opposizione Solidarnost

Il 23 marzo del 2009, Nemtsov subisce un attentato: alcune persone gli lanciano in faccia del liquido contenente cloruro di ammonio. Il 31 luglio del 2010 viene nuovamente arrestato durante una manifestazione non autorizzata dedicata all’articolo 31 della Costituzione russa, che garantisce il diritto alle manifestazioni non pacifiche.

Il 27 febbraio del 2014 definisce l’invasione russa della Crimea “una guerra fratricida all’Ucraina” evidenziando che con la sua annessione “Putin ha violato un’infinità di obblighi internazionali”, in particolare quello previsto dal Memorandum di Budapest con cui, nel 1994, l’Ucraina aveva ceduto le proprie armi alla Federazione Russa, ricevendo in cambio garanzie di non aggressione e protezione. 

Esattamente un anno dopo, Nemtsov viene assassinato a Mosca a colpi di arma da fuoco, mentre sta attraversando il Ponte Bol’šoj Moskvoreckij, a pochi passi dal Cremlino. È la sera del 27 febbraio 2015, giornata in cui Putin ha stabilito la celebrazione annuale di quelle forze armate tanto criticate dal suo avversario politico. Secondo quanto riportato dal quotidiano russo Kommersant, al momento dell’omicidio tutte le telecamere di sicurezza della zona sono spente. 

La notte dopo l’omicidio tutti gli scritti e i documenti dell’uomo vengono sequestrati dalla polizia. L’omicidio non è rivendicato pubblicamente, ma le autorità arrestano cinque persone di nazionalità cecena, condannandoli agli inizi del 2018 da 11 a 20 anni di carcere. 

Alexei Navalny (1976-2024)

La passione civile di Navalny inizia sin dalla giovinezza, ma la svolta arriva nel 2008 quando inizia ad acquistare piccoli pacchetti azionari di grandi compagnie in modo da poter esercitare il diritto dell’informazione degli azionisti e ottenere prove di condotte dubbie da parte dei dirigenti. 

Inizia così la sua carriera di attivista anti-corruzione, costituendo un’organizzazione no-profit, “Unione degli azionisti di minoranza”, tramite cui chiede agli amministratori di fornire copie delle relazioni e dei rendiconti finanziari delle società per cui lavoravano. In breve estende le sue indagini anche al governo e al presidente Vladimir Putin, di cui diventa uno dei principali detrattori. 

Nel febbraio del 2011 Navalny definisce il partito Russia Unita – che sostiene il governo di Putin – “ un partito di truffatori e ladri”, consigliando di votare per qualsiasi fazione politica gli sia avversa alle successive elezioni parlamentari. Ad urne chiuse contesta i risultati elettorali sostenendo che si siano verificati brogli su larga scala. Sempre nel 2011 lancia il progetto RosPil, che ha l’obiettivo di denunciare le frodi negli appalti statali. 

Nel marzo del 2012 quando Putin è eletto nuovamente presidente, Navalny guida una manifestazione contro il presidente a Mosca a cui prendono parte quasi 30mila persone. Dopo la manifestazione viene trattenuto diverse ore dalle autorità e poi rilasciato. Nel 2014 si oppone all’annessione della Crimea, temendo che causasse un’espansione della Nato e un notevole indebolimento dell’economia russa. 

Nel 2016 annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali, ma viene escluso per varie condanne penali. Molti governi occidentali e Amnesty International sostengono che, dietro i procedimenti penali a suo carico, vi sia in realtà la sua opposizione politica a Putin. Nel 2017 viene aggredito da alcuni soggetti sconosciuti fuori dal suo ufficio. Sempre in quell’anno accusa di corruzione Dmitriji Medvedev, allora primo ministro ed ex presidente della Russia. Le sue accuse provocano proteste di massa in tutto il Paese. 

Nel 2020 la sua Fondazione Anti-corruzione viene chiusa dal governo russo, mentre Navalny si spende contro il referendum costituzionale definito “un colpo di stato che consentirebbe a Putin di essere presidente a vita”. 

La mattina del 20 agosto del 2020 mentre si trova a bordo di un aereo diretto da Tomsk a Mosca inizia a manifestare i sintomi di un malessere sconosciuto. L’uomo, dopo alcuni giorni in un ospedale russo, viene trasferito – grazie all’intervento di Francia e Germania – in una struttura sanitaria tedesca, che conferma che è stato avvelenato con il Novichok. Un’inchiesta giornalistica congiunta tra The Insider, Bellingcat, CNN e Der Spiegel conferma, alcuni mesi dopo, il coinvolgimento nell’avvelenamento dei gruppi di sicurezza federale russa. 

Il 17 gennaio 2021 Navalny rientrato in Russia viene arrestato. Il suo arresto scatena proteste di massa. Il 31 marzo inizia lo sciopero della fame a causa del rifiuto dei medici di vederlo. A favore delle sue cure si spendono anche diversi deputati russi. Torna in carcere il 7 giugno. Due giorni dopo la sua rete di associazioni politiche viene definita estremista dal Tribunale di Mosca, che la bandisce. 

Nell’ottobre 2021 il Parlamento europeo lo insignisce del Premio Sacharov per i diritti umani. Poco dopo la commissione carceraria russa lo designa come “terrorista”. 

Nel corso della sua detenzione viene sottoposto a durissimi periodi di isolamento, ma dal carcere conduce comunque la sua campagna contro la rielezione di Putin. 

A dicembre 2023 per ben tre settimane Navalny risulta irreperibile e l’amministrazione penitenziaria rifiuta di fornire indicazioni sulla sua ubicazione. Il giorno di Natale alcuni membri del suo staff rendono noto che è stato trasferito nella colonia penale IK-3, sita oltre il circolo polare artico. Qui vive in condizioni di completo isolamento. Navalny muore il 16 febbraio 2024. L’amministrazione penitenziaria dichiara inizialmente che l’uomo è morto a seguito di un malore accusato dopo una passeggiata. Pochi giorni dopo, il The Times pubblica un’indiscrezione secondo la quale Navalny sarebbe stato ucciso da un pugno al cuore, un metodo tipico del KGB. 

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