“Signor Zuckerberg, lei e le società qui presenti avete le mani sporche di sangue”. Non ha usato mezzi termini il senatore repubblicano Lindsey Graham rivolgendosi all’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, e ai responsabili di TikTok, X, Discord e Snapchat. Un duro atto di accusa arrivato durante l’udienza del 31 gennaio 2024 al Senato degli Stati Uniti convocata per valutare l’impatto dei social media sulla salute dei minori.
Una settimana prima, il sindaco di New York Eric Leroy Adams e il commissario alla salute cittadina Ashwin Vasan avevano definito ufficialmente i social media come un pericolo per i bambini. Una “tossina ambientale”, ha accusato Adams, per le loro “funzionalità pericolose e tendenti alla dipendenza”. Nella stessa giornata, la Camera della Florida ha approvato il disegno di legge che proibisce alle piattaforme di consentire ai giovani sotto i 16 anni di avere un account.
In Italia nel 2023 il leader di Azione, Carlo Calenda, ha presentato alla Camera dei deputati una proposta di legge per vietare l’accesso ai social ai giovani sotto i 13 anni per proteggere la loro salute mentale. La proposta prende spunto da una norma approvata il 2 marzo 2023 dall’Assemblea nazionale in Francia, che prevede l’innalzamento dai 14 ai 15 anni del limite di età minimo per esprimere il consenso al trattamento dei dati sulle piattaforme.
Ma possono le leggi da sole risolvere un problema globale?
Bambini, precoci esperti di smartphone
Il 12% dei bambini è condizionato dagli influencer, stando allo studio Hotwire sul rapporto tra Generazione Alpha (cioè di coloro nati dopo il 2000) e tecnologia. Già nel 2017, per Eurispes, oltre il 40% del totale dei nuovi utenti di Internet in tutto il mondo erano bambini. Il potere risucchiante della televisione è stato sostituito da reel e video su TikTok, Instagram e YouTube. Se consideriamo che il 75% dei bambini tra i 6 e i 9 anni usa uno smartphone, percentuale che sale al 96% per gli adolescenti dai 10 ai 13 anni, ne consegue che l’esposizione ai social è pressoché continua (dati Swg per Italian Tech e Telefono Azzurro).
I bambini non sono solo consumatori ma anche protagonisti dei social con il fenomeno dei baby influencer. Nel 2018 ha fatto scalpore il caso di Ryan Kaji che ha guadagnato 22 milioni di dollari in 12 mesi col canale YouTube, Ryan ToysReview. L’ultimo è lo stilista di 4 anni, Max Alexander, che ha già vestito una star come Sharon Stone. In Italia c’è Chiara Nasti, diventata famosa all’età di 15 anni per il suo blog su bellezza e moda. I deus ex machina di solito sono i genitori, che li manovrano a partire dall’iscrizione ai social, che altrimenti non gli sarebbe permessa: il limite minimo d’età è di 13 anni in Usa e di 14 in Italia.
I pregi e i difetti dell’estrema socialità
“L’interconnessione è sicuramente un pregio dei social”, ammette Alessandra, insegnante di lingue in una scuola media della provincia di Macerata. I suoi studenti giocano a Fortnite, una piattaforma online di social gaming in cui è possibile comunicare con persone da tutto il mondo, e spesso le chiedono il significato delle frasi in spagnolo che sentono o leggono dagli altri utenti. I social, inoltre, possono incrementare le competenze digitali con la creazione e condivisione dei contenuti, l’apprendimento di nuovi programmi e applicazioni, e aiutano a sviluppare il pensiero critico tramite la lettura di articoli e l’individuazione di fake news. Possono anche contribuire a sviluppare una propria identità e aumentare l’autostima.
Nonostante il limite d’età fisso, i bambini più piccoli possono accedere ai social con relativa facilità, pur se non esistono dati ufficiali a riguardo. Il rischio è che siano condivise molte informazioni personali. I social sono usati anche come “maschere” per proteggere la propria identità e strumenti di cyberbullismo nei confronti dei coetanei. Inoltre, non tutti gli utenti sono chi dicono di essere e c’è il rischio di adescamento, soprattutto da parte di pedofili. Per i teenager è necessario prestare attenzione anche al sexting, lo scambio di testi, immagini e video a sfondo sessuale, e alla condivisione non consensuale di foto esplicite.
Una dipendenza non ancora riconosciuta a tutti gli effetti
La dipendenza da social è un fenomeno in crescita, soprattutto negli ultimi anni. I bambini non sanno autoregolarsi e gli adolescenti potrebbero nascondere carenze interiori. “Il problema nasce quando c’è una carenza che va colmata – dice la pedagogista esperta nelle problematiche relazionali, Tiziana Cristofari, dello studio di consulenza pedagogica e homeschooling “Figli Meravigliosi” di Roma – Diventiamo dipendenti come con le sigarette o l’alcol. Il social è una droga che, però, non è condannata perché non porta a conseguenze negative immediate ma solo a lungo termine”. Senonché, siccome non è universalmente riconosciuta, di questa dipendenza non si parla abbastanza in famiglia.
L’assuefazione da social funziona come quella da sostanze e si basa sul circuito della dopamina, l’ormone del benessere. “Quando postiamo un contenuto su un social – spiega la psicoterapeuta specializzata in psicoterapia della Gestalt, Monica Vivona, dello Studio “Liberamente” di Roma – attendiamo una reazione, un commento o un like. Quando una di queste reazioni arriva provoca un rilascio di dopamina, una scarica positiva, che siamo poi portati a cercare di nuovo. È una trappola”. Nel Dsm-5, il manuale dei disturbi mentali, la dipendenza da internet è segnalata ma non è considerata un disturbo a pieno titolo perché sono necessari studi più approfonditi per classificarla tale.
L’ansia sociale, un’altra importante conseguenza
Secondo uno studio di Skuola.net con l’Associazione Nazionale Di.Te., il 57% degli adolescenti prova ansia sociale in interazioni con più soggetti, mentre questo dato aumenta al 61% quando devono partecipare attivamente. Sette giovani su dieci preferiscono rifugiarsi in attività digitali, giudicate più rassicuranti. “Avere a che fare tutti i giorni con modelli non realistici – spiega Vivona – crea l’ansia del non essere all’altezza”. I campanelli d’allarme sono la limitazione o esclusione delle attività offline e il ritiro sociale. Se bambini e adolescenti passano molto tempo sugli schermi senza orari, la mancanza di sonno porta a un’alterazione ormonale che può innescare la depressione. “Una mia alunna dodicenne – racconta un’insegnante che preferisce rimanere anonima – si addormenta spesso in classe perché sta fino a mezzanotte a fare video su TikTok”.
L’ansia sociale potrebbe condurre a un’inibizione emotiva e a un umore depresso ma non ci sono ancora studi sufficienti che colleghino i due disturbi. “Bisogna mettere dei paletti e sicuramente dare dei limiti di tempo – consiglia Vivona – come staccare un’ora prima di andare a dormire per permettere al cervello di tranquillizzare la sua attività, visto che l’attenzione nei giochi online è alta”. Per la psicoterapeuta, gli adulti, che spesso vivono lo stesso problema, devono dare l’esempio stabilendo abitudini sane e funzionali.
La spinosa questione del cellulare
Quante volte osserviamo bambini sotto i cinque anni giocare con lo smartphone dei genitori? In genere, lo si dà per farli stare buoni ma è un’attività pericolosa. “Non è sbagliato avere una app come WhatsApp in cui ci si può confrontare con un’amica – dice la mamma di una bambina di sette anni – per compiti o confidenze ma con i tempi giusti, che per me sono le medie”. L’adolescenza sembrerebbe il momento giusto per consegnare i cellulari ai figli, che non devono essere vietati totalmente “perché si devono rendere conto di quello che gira su internet”. Secondo la pedagogista Cristofari, proibirli fino alle superiori “diventa escludere il proprio figlio da un’aggregazione”, dato che a quel punto tutti li hanno.
A scuola i telefonini ora possono essere usati esclusivamente per fini didattici e sotto la supervisione e il permesso del docente. “Molti quando finiscono le lezioni corrono agli armadietti dove sono riposti i cellulari – riporta un’insegnante – e c’è chi con la scusa di vedere i compiti sul registro digitale passa tempo al cellulare”. Per Cristofari, il dispositivo potrebbe essere comunque concesso con delle limitazioni, come lasciarlo a casa nell’orario scolastico e autorizzarlo a tempo pieno il sabato e la domenica per chiacchierare con gli amici. L’importante è che il divieto venga accompagnato da una valida motivazione e che ci sia una buona relazione familiare.
Strumenti legali per difendersi dai social
Sul versante europeo, la Gran Bretagna è l’unica ad aver creato il Children Code, un codice di condotta per la tutela dei dati dei minori rivolto a piattaforme, app, giochi informatici, siti di formazione e informazione. In Italia non c’è una normativa specifica e si applicano le leggi del codice penale su lavoro minorile e privacy. “Siccome i genitori rispondono civilmente di quello che fanno i figli, gli unici strumenti sono il controllo preventivo e l’educazione – afferma l’avvocato Matteo Santini, professore di diritto minorile all’Università La Sapienza di Roma – Però ci può essere una responsabilità per omesso controllo, omessa educazione e quindi lì il genitore rischia anche di perdere la responsabilità genitoriale”.
Ma se si arriva tardi? Se un minore commette su internet un reato, il discorso è diverso perché la responsabilità è penale e personale. Per l’avvocato civilista Serena Reda, gli strumenti legali da poter usare sono le diffide e le querele. In caso di compravendita conclusa dal minore, entro cinque anni è possibile chiedere azione di annullamento.