“Fate l’amore con il sapore”. È lo slogan di una nota marca di yogurt. Food porn, dal vangelo secondo Instagram. Cibo e piacere. Un connubio antichissimo. Dalla cena di Trimalcione alle spadellate di Max Mariola. Col motto “the sound of love” lo chef romano accompagna le sue ricette sul web e seduce milioni di utenti. Il simbolo del boom della food economy ai tempi dei social. Niente libri di ricette. Nessun programma culinario. Basta aprire Instagram per trovarsi davanti alla nuova frontiera della cucina. Oltre trecento milioni di post con l’hashtag foodporn. No, non è una parolaccia, ma il termine usato per aggregare le immagini di piatti che hanno un aspetto particolarmente invitante. Il cibo buono da vedere, in sostanza. Legittimo chiedersi se sia pure buono da mangiare. Ma andiamo con ordine.
Social e cucina, la scelta vincente degli chef influencer
I social network offrono spesso un’alternativa al lavoro tradizionale. Una strada nuova, intrapresa da molti durante il lockdown del 2020. È il caso di chef Federico Fusca. “Facevo il cuoco. Per colpa del Covid sono finito in cassa integrazione. In quel momento avevo trent’anni, mi sentivo finito dal punto di vista lavorativo. Così ho scelto i social”. Un esperimento nato per gioco, che unisce le sue grandi passioni: la cucina e la comunicazione. Quattro anni dopo i numeri parlano chiaro: quasi due milioni di seguaci tra Instagram, TikTok e YouTube. Un vero e proprio lavoro, ma cucinare non basta. Bisogna anche saper montare i video. E fidelizzare i propri follower. Il trucco? Fare sempre gli stessi gesti, le stesse battute come refrain e, soprattutto, piatti replicabili. “Più la ricetta è semplice, più la commenti e la condividi con amici e parenti”, spiega Fusca. Una vera rivoluzione rispetto alla cucina tradizionale. “Un bravo chef influencer guadagna quindici volte tanto quello che guadagna un cuoco normale”. Sì, ma quanto? Centinaia di migliaia di euro all’anno, talvolta anche milioni. “Dipende da vari fattori”, aggiunge Fusca, che al lavoro dei social affianca anche quello in televisione, nel programma “È sempre mezzogiorno” di Antonella Clerici.
Il boom del food porn, il cibo bello da vedere
Ma attenzione, non serve essere cuochi provetti per avere successo con il cibo sui social. Lo testimonia Vincenzo Falcone, tra i primi imprenditori in Italia ad aver intuito le potenzialità del web nel mondo della ristorazione. Nel 2014 usa Facebook per promuovere Delicious, la sua catena di locali. “Un post sponsorizzato costava 10 euro e ti consentiva di scegliere il target dei clienti. Molto più efficace ed economico dei soliti cartelloni pubblicitari e spot radiofonici”. Nel 2019 l’inizio della collaborazione con Gianandrea Squadrilli di Italy Food Porn, un’azienda di social media marketing con sede a Roma. Insieme fondano Golocious, catena di ristoranti specializzati nell’arte degli hamburger. “Perché siamo tutti figli di McDonald’s. E io alla pizza preferisco gli hamburger”, scherza Falcone. Oggi Golocious ha 20 punti vendita in tutta Italia e uno pure in Oman. L’idea di fondo? Sempre la stessa: cibo bello da vedere e buono da mangiare. Tutti d’accordo? Per niente. Perché i social sono un campo di battaglia. E qualcuno ha dichiarato guerra al food porn.
La guerra dei food influencer
Alessandro Bologna e Giulia Balestra – in arte Franchino il criminale e Giulia Crossbow – mettono in guardia dagli influencer che sponsorizzano locali in nome del cibo bello da vedere. Uno di questi? Proprio Golocious. L’attacca lo stesso Franchino, che intanto ha iniziato a collaborare con il dorso romano del quotidiano La Repubblica. Pronta la risposta di Falcone: “Non ha senso entrare in un ristorante e dire che fa tutto schifo, come fa lui”. Ma la battaglia degli influencer anti-food porn va oltre Golocious. Su YouTube Franchino dedica una rubrica proprio ai locali sponsorizzati dai cosiddetti “foodpornari”. Il nome? “Marchette criminali”. Dalla sua prospettiva sono “marchettari” tutti quei foodblogger pagati da un ristorante “tutto fumo e niente arrosto” per fargli pubblicità sui social. Matteo Di Cola, uno dei manager di Italy Food Porn, respinge però le accuse. “I ristoranti con cui collaboriamo vengono sempre scelti in base alla qualità dei prodotti”. E ripete l’adagio: buono da vedere, buono da mangiare. Anche se ammette: “Talvolta il food porn degenera in piatti eccessivamente ‘sbrodolosi’ e fritti. Ma noi non c’entriamo”.
Sprechi e diseducazione alimentare, l’altra faccia del food porn
L’hashtag foodporn nasconde spesso un mondo di sprechi e diseducazione alimentare. Così la quantità vince sulla qualità. Ecco allora le sfide social: mangiare un chilo di carbonara in mezz’ora. Guido Mori, direttore dell’Università della Cucina Italiana, conduce sui suoi canali una personale battaglia culturale contro queste derive. Così in un suo reel: “Food porn significa produrre qualcosa che costi pochissimo, da vendere a un pubblico che lo paghi tantissimo”. Con conseguenze sulle abitudini alimentari di chi guarda questi video. Perché il food porn prende il controllo del nostro cervello. Come? Lo spiega il team di neuroscienziati guidato da Charles Spence dell’Università di Oxford in “Mangiare con gli occhi. Dalla fame visiva alla sazietà digitale”. La vista e l’odore del cibo ricco di grassi inviano infatti una scossa al cervello delle persone affamate, aumentando il loro neurometabolismo. “Come quello sessuale, il porno alimentare ci permette di desiderare cose tabù”, afferma la psicologa Susan Albers in un articolo su ABC News. Dello stesso avviso Sebastiano Benasso, professore di Sociologia presso l’Università di Genova, autore di “Aggiungi un selfie a tavola. Il cibo nell’era dei food porn media”, scritto a quattro mani con la collega Luisa Stagi. “Guardare altre persone abbuffarsi genera un godimento pari a quello della pornografia sessuale. In entrambi i casi il fruitore del contenuto non compie l’atto, ma una sorta di sublimazione”. Godere senza sporcarsi le mani, in poche parole. Benasso cita al proposito il mukbang (dall’unione di due parole coreane, mangiare e trasmettere), una trasmissione audiovisiva online in cui una persona ingurgita cibo mentre interagisce con il proprio pubblico. “Un fenomeno che – prosegue il sociologo – riflette le contraddizioni della nostra società: da una parte il consumismo spinge a godere del cibo in modo edonistico, dall’altra una buona forma fisica rimane un indicatore di buona cittadinanza”.
I rischi per la salute
La visione di questi contenuti condiziona le nostre abitudini già dai primi anni di vita. Uno studio pubblicato sulla rivista NCBI – National Center for Biotechnology Information – svela come i modelli dietetici non salutari proposti sui social possono indirizzare i desideri e i gusti dei bambini. E il bacino d’utenti è in espansione: secondo una ricerca Buzzoole già nel 2020 più della metà degli italiani (54%) seguiva i food influencer per ricevere consigli culinari. Un’analisi del 2022 condotta dall’agenzia di eCommerce Calicantus evidenzia come il 56% delle persone intervistate, dai 13 ai 39 anni, segua le tendenze in voga sui social per preparare i pasti. Tendenze non sempre salutiste. “Sapete che in Sicilia si trova il paradiso del diabete?”. Inizia così il reel di Lorenzo Tripi, manager di Italy Food Porn Sicilia. Ma di cosa si parla? Waffle. Non certo quelli classici. Un bagno di Nutella e crema al pistacchio, tanti Smarties e, per non farsi mancare nulla, una valanga di granella – superfluo ribadirlo – di pistacchio.
Food porn e ristorazione
Al netto dei discutibili contenuti, la comunicazione fa storcere il naso. “Sul diabete voleva fare una battuta, chiaramente orripilante”, il commento sconcertato di Mori al reel di Tripi. Il diabete è infatti una patologia pandemica. Perciò “è pericoloso promuovere certi contenuti”, aggiunge Mori. Anche perché i primi fruitori dei social sono gli adolescenti. Prendiamo in esame una ricerca condotta nel Regno Unito pubblicata sul sito di Sodexo, multinazionale leader nel campo dei servizi di ristorazione e dei servizi alle imprese. Il 95% dei giovani tra i 16 e i 24 anni ha un profilo sui social e oltre il 75% della Gen Z segue almeno un influencer. Dallo studio emerge come i giovani siano esposti al marketing alimentare sui social circa 30-189 volte a settimana. Secondo la stessa ricerca, i ragazzi che sono stati esposti a vlogger che promuovevano snack zuccherati e grassi hanno mangiato il 26% in più di calorie rispetto a quelli che non lo hanno fatto. Uno scenario preoccupante anche per l’Italia, visti i numeri generati da alcuni foodblogger. Che influenzano anche il modo di fare ristorazione. Degli esempi? La carbocrema e il guanciale, requisiti indispensabili per la carbonara tradizionale. Almeno, così ci raccontano. Perché la ricetta attuale della carbonara nulla ha a che vedere con quella originale, pubblicata nel 1954 su Cucina Italiana: pasta, groviera, aglio, cipolla, panna e – tenetevi forte – pancetta. “Ma non è una novità che la ristorazione si adegui all’evoluzione dei gusti della società. Avveniva già prima dell’avvento dei social. È qualcosa di fisiologico”, conclude Mori.
Nel mare magnum del food porn, in ogni caso, esistono anche isole felici. Ne abbiamo parlato all’inizio del nostro racconto. Anche perché “i social sono uno strumento potentissimo”. Parola di Mori. Nel bene e nel male. O meglio, nei buoni e nei cattivi piatti. Col rischio, nascosto dietro ai fornelli, di piegare la cucina alla logica dei like.