Nello sport ci ha visto soccombere più di una volta, oggi si ripropone quasi d’improvviso sui mercati finanziari; e le sensazioni non lasciano presagire niente di buono nell’immediato. La sfida infinita Italia-Spagna nelle ultime settimane si sta trasferendo dagli stadi alle borse ed inizia a preoccupare non poco il governo e le istituzioni europee.
In gioco, ancora una volta, c’è la tenuta dei nostri conti; perché se un giorno sembrano aprirsi spiragli di sereno, quello dopo tornano ad addensarsi nubi minacciose su Piazza Affari. Il differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli spagnoli: questo il nodo della discordia; il campanello d’allarme che ha allertato Bce e Commisione europea. Ieri il rendimento dei Btp a 10 anni si è attestato al 4,53%, i Bonos della stessa durata leggermente più in basso (al 4,46%). Sette punti base di differenza se confrontati coi Bund tedeschi: 253 contro 246; il massimo da 18 mesi a questa parte.
La lunga rincorsa iberica. Giusto per capire quello che sta accadendo: a novembre 2012 lo spread italiano era poco superiore ai 300 punti, quello spagnolo sfiorava quota 400; impensabile, allora, solo immaginare che a distanza di un anno avremmo assistito al sorpasso. Una lunga rincorsa che la Spagna ha condotto al traguardo nonostante la nostra economia sembrasse più solida, soprattutto alla luce delle ultime rassicurazioni dell’esecutivo, per la verità subito smorzate da Visco. Se, così, Letta qualche giorno fa si diceva «Non preoccupato dal differenziale», il governatore di Bankitalia ribatteva con un più cauto «La ripresa c’è, ma ci sono ancora rischi per la stabilità».
Dati nuovamente allarmanti. Una nuova mini-crisi finanziaria è dunque alle porte ed è figlia del clima politico che si respira; i dubbi sul voto che dovrà decidere l’eventuale decadenza di Berlusconi da Senatore, con le polemiche tra i partiti che minano ogni giorno di più la già debole alleanza di governo, pesano come un macigno sullo stato dell’economia italiana; eloquenti gli ultimi dati Istat: Pil al -0,3% nel secondo trimestre 2013, in calo tendenziale per fine anno sino al -2,1%. Tradotto: mancanza strutturale d’investimenti e recessione tutt’altro che finita.
Il monito dell’Europa. A rincarare la dose anche il commissario europeo agli affari economici, Ollli Rehn, secondo cui «Per assicurare il ritorno della ripresa è essenziale la stabilità politica»; un messaggio rivolto a tutti i Paesi membri ma che sembra cucito su misura per l’Italia. Qualora non bastasse, il bollettino mensile diffuso ieri dalla Banca centrale europea non ha di certo contribuito a placare le acque; a Francoforte nutrono forti dubbi che il nostro Paese riesca a centrare per fine anno l’obiettivo di bilancio prefissato (rapporto deficit/Pil sotto il 3%).
L’asta del Tesoro. Intanto, la temuta asta dei titoli del Tesoro di ieri ha dato buoni frutti; in fondo era prevedibile che, con i nuovi venti d’incertezza, i tassi di rendimento si sarebbero rialzati sensibilmente, attirando gli investitori: piazzati in totale 4 miliardi di euro dei nuovi Btp triennali a un tasso del 2,72% (il più alto dall’ottobre 2012) e 1,5 miliardi di euro di titoli a 15 anni al 4,88%. Perlomeno, il nostro Paese, qualcuno disposto a pagare il proprio debito pubblico lo trova sempre. Consolazione, onestamente, piuttosto magra.
Marcello Gelardini