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Affaire Quirico. Ancora molti punti oscuri nel sequestro del giornalista italiano e sulla figura di Pierre Piccinin

di Carlo Di Foggia12 Settembre 2013
12 Settembre 2013

Ci sono molti punti non chiariti nella vicenda del rapimento di Domenico Quirico. Zone d’ombra che lasciano aperti diversi interrogativi sulle strane circostanze del suo sequestro, avvenuto, come raccontato dallo stesso Quirico nei giorni scorsi, nella città di Qusayr, nella Siria occidentale, poco oltre il confine con il Libano, in compagnia di Pierre Piccinin, un professore di liceo belga recatosi più volte in Siria per – come ha spiegato lui stesso in un’intervista a Russia Today – “ottenere informazioni affidabili e non mediate da fonti di parte”. A cosa alludesse, Piccinin lo spiega poco dopo: “Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che ci sono in realtà due organizzazioni rivali siriane dei diritti umani che controllano l’andamento e forniscono la maggior parte delle informazioni per l’Occidente”. In questa situazione, “i media occidentali scelgono di affidarsi esclusivamente all’Osservatorio siriano per i diritti umani”, molto legato agli insorti.

In questi giorni, sono in molti a chiedersi come mai il nome di Piccinin non sia mai stato menzionato dalla Farnesina, e sia uscito solo in occasione della sua liberazione. Ancora più strana appare la scelta di Quirico e Piccinin di entrare in Siria dal confine libanese, una delle zone meno sicure, e per questo meno battute dai reporter che si recano nel paese, perché attraversata dalle milizie di Hezbollah, fedeli alleati del regime. Non si sa se la presenza del professore belga possa aver influito su questa strana decisione, tanto più che il giornalista italiano ha spiegato di aver inizialmente cercato di raggiungere Damasco per verificare la situazione. Sul suo Blog, il freelance Cristiano Tinazzi, fa però notare che da Qusayr “è praticamente quasi impossibile arrivare nella capitale, tanto che chiunque interpelliate vi sconsiglierebbe fortemente di arrivare da lì. Questo da mesi e mesi”. Pur tenendo conto della distanza di tempo dall’ultimo ingresso di Quirico nel paese, avvenuto sempre in compagnia di esponenti dell’Eserci siriano libero, sembra quindi difficile che possa aver sottovalutato questo aspetto. Quirico adesso parla di una rivoluzione che lo avrebbe “tradito”, finendo per consegnarlo a bande armate più simili a  gruppi indisciplinati di briganti comuni che rivoluzionari. Per diversi mesi poi, i due sono stati trattenuti dalla brigata Al Farouq, una brigata regolare del Fronte libero siriano, composta da circa 20mila uomini e classificata dagli esperti del Washington institute of  Near East Policy e dell’Institute for the study of war come moderatamente islamista.

Curiosa è anche la figura di Piccinin. Il belga è stato più volte intervistato da canali televisivi russi, cui ha riferito le sue impressioni raccolte sul campo, come ad esempio le manifestazioni svoltesi nella città martire di Hama, dove nel 1982 una rivolta venne brutalmente repressa da  Hafez al-Assad , padre del presidente in carica. Secondo Piccinin le proteste di Hama sono state ingigantite dai media occidentali che hanno parlato di mezzo milione di manifestanti, quando invece la città ne conta poco più di 300mila. Eppure nelle sue dichiarazioni, rilasciate ad emittenti olandesi, Piccinin ha riferito di un curioso episodio nel quale avrebbe ascoltato, insieme a Quirico, una conversazione in inglese tra alcuni carcerieri in cui si faceva riferimento alle armi chimiche usate nell’attacco di Damasco, e che, a detta loro, sarebbero state usate dai ribelli per provocare un intervento internazionale contro Assad. “Mi costa ammetterlo – ha spiegato Piccinin nell’intervista – perché da maggio 2012 sostengo con decisione l’esercito libero siriano nella sua giusta lotta per la democrazia”.

Che cosa sia intervenuto tra i primi resoconti dalla Siria, e quest’ultima dichiarazione del professore, è difficile stabilirlo. Quello che è certo è che Piccinin nel maggio del 2012 è stato fermato e trattenuto dall’esercito lealista del regime nei pressi di Tall Kalakh, al confine proprio con il Libano. Un’esperienza terribile riferita da Piccinin come “una discesa all’inferno”, e nel quale ha potuto constatare di persona le torture e la brutale repressione della polizia siriana.

“Al di là di chi fossero  i personaggi che parlavano nella stanza adiacente a quella dove si trovavano prigionieri – si chiede su Europa Lorenzo Trombetta, esperto di storia della Siria e collaboratore di Limes – perché mai dovevano parlare ad alta voce e in inglese di un tema così delicato? Dovevano forse farsi capire in ogni modo dai prigionieri? Quel frammento di racconto crea confusione nella percezione di lettori ignari del contesto e non abituati a schivare le insidie della “verità” raccontate col contagocce”. E avanza poi un dubbio: “L’Italia ha assunto una posizione più defilata rispetto all’interventismo franco-britannico-americano. L’affaire Quirico c’entra forse qualcosa con questa prudenza politica? È davvero una coincidenza che, 24ore dopo il rimpatrio di Quirico, Stati Uniti e Russia si siano accordati sulla formula che allontana i venti di guerra? La liberazione di Quirico fa forse parte di un più ampio compromesso politico?”. Tutte domande cui è difficile dare una risposta.

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