TEL AVIV – Quindici luoghi, ognuno con 25mila tende, per oltre un milione di palestinesi sfollati. È quanto previsto, secondo il Wall Street Journal, dal piano presentato da Israele all’Egitto per l’evacuazione dei civili da Gaza in vista dell’annunciata operazione militare dell’esercito israeliano. I campi – dotati di strutture mediche – sarebbero dislocati dalla punta sud di Gaza City fino a Moassi nel nord di Rafah. Per Israele i costi del piano saranno a carico di Paesi Arabi e Usa.
Proprio ieri, 12 febbraio, il presidente americano Joe Biden ha fatto sapere che gli Stati Uniti stanno lavorando a una tregua “di almeno sei settimane”, mentre la Cina preme affinché si metta fine all’operazione militare a Rafah. A far discutere in Italia, invece, il caso del visto negato da Israele alla funzionaria italiana dell’Onu Francesca Albanese.
L’inviata Onu: “Il divieto di ingresso in Israele non è una novità”
Tutto era partito da un tweet in risposta alle affermazioni del premier francese Emmanuel Macron che aveva definito l’attacco di Hamas del 7 ottobre “il più grande massacro antisemita del nostro secolo”. Per Francesca Albanese, inviata del consiglio dei diritti umani dell’Onu, quelle vittime “non sono state uccise a causa del loro giudaismo” ma “in risposta all’oppressione di Israele”. Parole, queste, giudicate “oltraggiose” da Israele che ha deciso di negare il visto di accesso al Paese alla funzionaria, chiedendo al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di rimuoverla dall’incarico.
Dura la reazione di Albanese per la quale “il divieto di ingresso da parte di Israele non è una novità”. In disaccordo il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha dichiarato di non condividere le posizioni della funzionaria perché “l’attacco di Hamas puntava alla caccia all’ebreo”. Il ministro ha tuttavia giudicato “sproporzionata” la reazione di Israele che sta colpendo “troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas”.
Il pressing di Stati Uniti e Cina per un cessate il fuoco
Oltreoceano, invece, gli Stati Uniti stanno lavorando a una tregua di almeno sei settimane tra Israele e Hamas. A dirlo il presidente americano Joe Biden che, secondo fonti della Nbc, sarebbe furioso con il premier israeliano Benjamin Netanyahu per gli attacchi alla Striscia di Gaza. Nell’incontro alla Casa Bianca di ieri, 12 febbraio, con il re Abdallah di Giordania Biden aveva infatti insistito a non procedere con l’operazione militare senza “un piano credibile per proteggere almeno un milione di civili”. Nella stessa direzione anche la richiesta della Cina che ha esortato Israele a fermare i suoi attacchi e a “fare ogni sforzo per evitare vittime civili innocenti”. A inserirsi nel dialogo sulla guerra anche la Russia, con il ministro degli Esteri Lavrov che ha accusato gli Stati Uniti di “spingere l’intero Medio Oriente verso una catastrofe”.
L’alto rappresentante Ue Borrell: “Limitare le forniture a Israele”. Il ministro Katz: “Così si rafforza Hamas”
Non solo Mosca. A criticare la posizione degli Stati Uniti anche l’alto rappresentante Ue Josep Borrell per il quale, se Biden volesse davvero aiutare i civili di Gaza, dovrebbe “dare a Israele meno armi”. Insomma, “smettere di chiedere per piacere” a Netanyahu e cominciare a “fare qualcosa”. Non è mancata la risposta di Israele. Per il ministro degli Esteri Katz “gli appelli per limitare la difesa di Israele rafforzano solo Hamas”.
L’Iran lancia un missile balistico. La preoccupazione dell’Occidente
Per la prima volta le Guardie Rivoluzionarie dell’Iran sono riuscite a lanciare un missile balistico a lungo raggio da una loro nave da guerra. Il successo del test preoccupa Stati Uniti e Occidente, dopo che Hossein Salami, comandante delle Guardie, ha dichiarato che il lancio “ha dimostrato la potenza navale dell’Iran” e la sua capacità “di colpire qualsiasi obiettivo in tutto il mondo”.