Nuovo Green Deal e Politica Agricola Comune (Pac). Sono racchiuse in questi due titoli le cause della protesta contro l’Europa che da settimane attraversa le principali Capitali europee. Da Berlino a Bruxelles, da Parigi a Roma a Milano e nei giorni scorsi anche al Festival di Sanremo: con un’imponente dimostrazione di forza, il popolo dei trattori sta trasformando le strade in un palcoscenico per esprimere la propria rabbia e frustrazione.
Sul banco degli imputati le istituzioni e le politiche comunitarie in materia di agricoltura e in particolare l’Agenda verde – il cosiddetto Green Deal – che dovrebbe portare alla neutralità climatica entro il 2050. L’Unione europea chiede agli agricoltori di eliminare i pesticidi dannosi, di aumentare la rotazione delle colture, di implementare nuove tecnologie. Un’altra ondata di proteste si è poi levata contro la decisione della Commissione di destinare all’agricoltura biologica almeno il 25% dei terreni coltivati.
C’è poi il capitolo delle politiche ambientali. Uno dei punti più criticati è contenuto all’interno della Pac, l’insieme di norme che regolano l’erogazione dei fondi europei per l’agricoltura. L’obbligo per gli agricoltori europei di lasciare incolto il 4% dei propri campi, in modo da stimolare la biodiversità dei terreni. Provvedimento da sempre criticato come “un’inutile privazione di terreno potenzialmente produttivo”. Il vincolo però non è mai davvero entrato in vigore, dato che nel 2023 è stato sospeso a causa della crisi energetica e della guerra in Ucraina. La misura sarebbe dovuta diventare effettiva dal 2024, ma mercoledì 31 gennaio la Commissione presieduta da Ursula Von Der Leyen ha proposto una sorta di deroga, nel tentativo di arginare le proteste delle ultime settimane.
Una parte degli agricoltori contesta all’Europa il mancato sostegno economico: la Pac assorbiva il 50% del bilancio comunitario, ora ridotto al 25%. Tuttavia, gli stanziamenti per l’agricoltura sono rimasti sostanzialmente stabili intorno ai 55 miliardi di euro all’anno. Il settore agricolo, che rappresenta l’1,4% del PIL europeo, consuma il 25% del bilancio comunitario e produce il 10,5% delle emissioni di gas serra dell’Ue.
Nella riunione del 6 febbraio 2024 l’Unione ha modificato l’obiettivo climatico raggiungibile entro il 2040 “stralciando ogni riferimento numerico per l’agricoltura”. Oltre a ritirare la norma sui pesticidi, l’Unione Europea ha interrotto la ratifica del Mercosur per la creazione di un’area di libero scambio nell’America del Sud con cui si eliminavano i dazi tra i Paesi Ue e quelli aderenti all’accordo.
Anche in Italia il movimento degli agricoltori si è accreditato con slogan che esaltano la funzione indispensabile del loro lavoro, spesso in contrapposizione con l’attività delle industrie. Un aspetto però trascurato riguarda proprio l’impatto ambientale dell’attività primaria, che è poi l’essenza delle iniziative messe in campo dall’Europa.
Le sfide ambientali dell’agricoltura intensiva: emissioni di gas inquinanti e soluzioni sostenibili
Secondo uno studio di Greenpeace, i gas inquinanti originati dall’agricoltura equivalgono a un quarto di tutti quelli emessi nell’atmosfera. A livello globale, 4,6 milioni di tonnellate di pesticidi chimici vengono spruzzati nell’ambiente ogni anno. Inoltre, circa 115 milioni di tonnellate di fertilizzanti a base di azoto vengono sparsi ogni anno sulla Terra. Solitamente si associano le emissioni di gas serra al settore dei combustibili fossili, ma anche gli allevamenti intensivi contribuiscono a questo fenomeno. In Italia costituiscono la seconda causa di inquinamento, preceduti solo dagli impianti di riscaldamento.
Questa forma di zootecnia industriale, caratterizzata da un’elevata densità di animali in spazi ristretti, richiede notevoli quantità di mangime, l’uso diffuso di farmaci e un considerevole consumo d’acqua. Gli allevamenti intensivi generano grandi quantità di deiezioni, contribuendo alla produzione di gas serra più pericolosi dell’anidride carbonica, come ammoniaca e metano. Come sottolinea Francesca Grazioli, ricercatrice di Bioversity International, “il metano nell’atmosfera proviene per il 37% dagli allevamenti intensivi e, rispetto a 100 anni fa, è 86 volte più distruttivo”.
Anche Guido Lanzani, responsabile della qualità dell’aria per Arpa Lombardia, conferma la tendenza per cui “il principale problema legato al settore agricolo è rappresentato dall’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di ammoniaca. Nell’area padana, l’agricoltura rappresenta la principale fonte di emissioni di ammoniaca, contribuendo fino al 97% del totale”. A sua volta l’ammoniaca è la prima fonte responsabile della formazione delle cosiddette Pmi, le polveri sottili che inquinano le città del Nord. Emilia Romagna, Veneto e Piemonte sono le regioni in cui si concentrano i tre quarti del bestiame italiano, e questo spiega gli alti livelli di inquinamento atmosferico in quest’area. L’ammoniaca presente nell’aria proviene principalmente “dai fertilizzanti usati sul terreno, dagli allevamenti intensivi attraverso liquami, dagli impianti di stoccaggio di questi liquami e dallo spandimento a livello superficiale del letame sui campi”, sottolinea l’esperto di Arpa.
Le soluzioni però non mancano. Per limitare l’inquinamento e quindi l’emissione di ammoniaca nell’aria, conferma Lanzani, “si può iniettare il letame direttamente nel terreno, così da rallentare la dispersione delle sostanze nocive nell’aria oppure coprire con teli appositi gli impianti di stoccaggio dei liquami o ancora modificare la dieta degli animali con l’obiettivo di ridurre l’ammoniaca presente nelle loro feci”. Un’altra misura discussa e poi scartata riguarda le emissioni degli allevamenti intensivi di bovini: nelle prime fasi delle negoziazioni europee era stato proposto di trattarle allo stesso modo di quelle delle fabbriche – incentivandole ad elaborare piani di trasformazione per conseguire gli obiettivi dell’Ue in materia di inquinamento zero, economia circolare e decarbonizzazione entro il 2050 –, ma alla fine il Parlamento Europeo decise di continuare a escluderle. Alcune norme europee sulle emissioni industriali prevedono già che gli allevamenti di pollame o suini che superano un certo numero di animali debbano avere dei permessi speciali per operare.
Come segnalato dal report di Greenpeace, nonostante gli sforzi in altri settori per ridurre le emissioni di gas inquinanti, gli allevamenti intensivi non hanno registrato alcun miglioramento in termini di inquinamento atmosferico negli ultimi 16 anni. È necessario un approccio più incisivo e concreto per affrontare l’inquinamento derivante dal comparto agricolo, implementando normative più stringenti e promuovendo pratiche agricole sostenibili, senza però penalizzare un settore primario per le economie globali.
Le proteste che attraversano le principali capitali europee sono il risultato di un profondo malcontento degli agricoltori nei confronti delle politiche europee che, se da un lato mirano a promuovere la sostenibilità ambientale, dall’altro suscitano preoccupazione negli agricoltori che si sentono penalizzati. Al contempo però, l’impatto ambientale del settore agricolo è fonte di preoccupazione per le emissioni di gas serra e l’inquinamento atmosferico. Si deve quindi creare un dialogo aperto e costruttivo tra le istituzioni europee, gli agricoltori e gli attori del settore, al fine di trovare soluzioni equilibrate che garantiscano la sostenibilità economica, ambientale e sociale del settore agricolo europeo.