TARANTO – “Via ArcelorMittal da Taranto!”. È questo il grido che da questa mattina riecheggia nel perimetro esterno dell’ex Ilva, dove è in corso il corteo per l’indotto di Acciaierie d’Italia. Diverse centinaia di operai, sindacati e imprenditori si sono radunati lunedì davanti alla portineria imprese del siderurgico, per sollecitare il governo ad adottare iniziative urgenti per scongiurare la chiusura della fabbrica. Una manifestazione, quella promossa da Fim, Fiom, Uilm e Usb, a cui hanno aderito l’Ugl Metalmeccanici, altri sindacati di categoria e le associazioni Aigi, Casartigiani e Confapi Industria. E che le associazioni datoriali hanno definito come “storica per la città”.
Il rischio “concreto di chiusura” e le richieste
“La vertenza ex Ilva – sottolineano le sigle metalmeccaniche – è a un punto di svolta decisivo. Tuttavia, c’è il rischio molto concreto di chiusura dello stabilimento per una volontà ben precisa dell’amministratore delegato, espressione di fatto di ArcelorMittal”. Ecco perché organizzazioni sindacali stanno chiedendo, nell’iter di conversione dell’ultimo decreto che riguarda l’ex Ilva, di “trovare le opportune garanzie a tutela dei lavoratori e dei crediti delle imprese” per la “salvaguardia ambientale, occupazionale e industriale”. La stessa richiesta avanzata dal segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. “Sull’ex Ilva serve un intervento pubblico, lo stiamo dicendo da tempo”, ha ribadito Landini a Restart su Rai3 commentando la manifestazione di oggi a Taranto.
Le aziende vicine ai lavoratori
I lavoratori – oltre 6mila secondo le stime del segretario nazionale Fim Valerio D’Ala – questa volta però non sono soli. Presenti per la prima volta anche imprenditori e organizzazioni sindacali che scendono per strada in difesa della città. Le aziende dell’indotto temono, infatti, di perdere i propri crediti, che secondo le stime di Aigi ammonterebbero ad almeno 130 milioni di euro in caso di ricorso all’amministrazione straordinaria per l’impianto, così come accaduto nel 2015. Le imprese, attive a regime minimo, hanno già chiesto la cassa integrazione per oltre 2.600 lavoratori.