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HomeCronaca “Chi subisce violenza sente un senso di colpa e non riesce a chiedere aiuto”

"Chi subisce violenza
sente un senso di colpa
e non chiede aiuto"

La psicologa Dattilo a Lumsanews

“Serve più sensibilizzazione”

di Allegra Civai17 Gennaio 2024
17 Gennaio 2024

Foto di Elisabetta Filippis

Teresa Dattilo è una psicologa e presiede l’associazione “Donna e politiche familiari”. Con Lumsanews  analizza il problema della violenza sulle donne e il risvolto psicologico che questa ha su chi decide di non denunciare e chiedere aiuto.

Cosa accade a una donna quando si trova all’interno di una relazione violenta?

“Spesso è convinta che quello che le accade dipende da lei, pensa che sia una sua responsabilità, è portata a pensare che sia lei a provocarlo. Ritiene che le parole che le vengono dette, attraverso cui viene colpevolizzata, siano vere”.

Quindi come si sente?

“Prova vergogna, pensa che nessuno possa capirla ed è arrabbiata con sé stessa. È confusa e crede che non ci sia una soluzione. Si sente inadeguata sia come moglie che come madre perché l’uomo non fa altro che dirle che non è all’altezza. Allo stesso tempo, però, pensa di non essere in grado di affrontare la vita senza il partner”.

Quali sono gli effetti fisici  e psichici nel lungo periodo?

“Subire queste violenze porta ad avere ansia, che spesso viene colmata con l’uso di alcol e psicofarmaci. Dal punto di vista psichico questa situazione provoca apatia, rabbia, angoscia, instabilità emotiva, ma anche disturbi ossessivi. Il malessere porta anche ad avere condotte autolesionistiche, disturbi alimentari, disturbi del sonno e disturbi post traumatici da stress”.

Cosa fa scattare la violenza negli uomini?

“Spesso il casus belli è la separazione, non accettano che la donna voglia distaccarsi da loro. Quindi la non approvazione porta alla violenza. Nel momento in cui perdono quello che per loro è la fonte di sopravvivenza, si trasformano. È un rapporto malato, asimmetrico, di dipendenza affettiva in cui c’è un grosso bisogno dell’altro e nessuno si regge in maniera autonoma”. 

Ma queste donne riescono a rendersi conto che sono dentro a questo vortice?

“Spesso no. Sono i familiari e gli amici che capiscono che qualcosa non va”.

Quali sono i fattori che spingono una donna a giustificare il marito e a non denunciarlo?

“Il primo motivo è perché vogliono tenere unita la famiglia, il secondo è il senso di vergogna nel raccontare quello che sta accadendo. La vittima si sente sporca e crede che sia stata lei a provocare questo stato di cose. La vergogna è un deterrente enorme. Cambiare poi è difficile, significa mettersi in discussione e ricominciare una nuova vita. Fa paura, quindi si preferisce soffrire. Reagire poi alla violenza significa anche provocare una sofferenza ai figli; e poi subentra la convinzione di poter cambiare le cose col tempo”.

Quali sono invece i motivi che spingono una donna a chiedere aiuto? 

“Sono tanti: la donna sta male per le violenze subite, la violenza si protrae anche sui figli, i figli stessi spingono le madri a chiedere aiuto oppure semplicemente perché arrivano a un livello di saturazione o anche perché si sono spaventate dopo un episodio più violento del solito”.

L’associazione di cui lei è presidente cosa fa per aiutare queste donne?

“Donna e politiche familiari accoglie le donne all’interno della struttura con una metodologia integrata attraverso la compresenza di una psicologa e di un avvocato, esperte in diritto di famiglia e in dinamiche di coppia e familiari. Tale metodologia permette di dar vita a interventi volti ad abbassare la conflittualità nelle separazioni e nei divorzi tra coniugi, a salvaguardare l’incolumità psico-fisica delle vittime e a tutelare l’interesse delle donne e dei minori. In quest’ottica, proponiamo alle nostre utenti un colloquio di consulenza psicologica e legale, che permette alla persona che si rivolge a noi di essere seguita in maniera ottimale”.

Sono utili, secondo lei, questi centri antiviolenza ?

“Certo, però ci sarebbe bisogno di maggiori sportelli, ma soprattutto mancano i finanziamenti, senza di essi non si può fare la giusta sensibilizzazione. Sensibilizzare vuol dire spiegare che non è amore se qualcuno ti controlla, ti denigra, ti umilia. Il problema nasce dal fatto che non sappiamo cosa sia l’amore e lo scambiamo con il possesso. Quindi bisognerebbe fare sensibilizzazione e farla con cognizione di causa; spiegare alle ragazze che amore e libertà vanno di pari passo”.

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