ROMA – Una cosa è il business e un’altra la beneficenza. Chi contribuisce a confondere le due operazioni è anche responsabile dell’aumento generale dello scetticismo nei confronti delle donazioni.
Con “brand activism” si intende la pratica commerciale per cui un’azienda o un privato sostiene una causa di un ente non profit con il fine di stimolare un impatto sociale. L’obiettivo è di dare visibilità al brand, ma anche di contribuire al sociale. Oggi la pratica è molto diffusa, soprattutto grazie all’azione dei social media, che funzionano da cassa di risonanza. Per agire correttamente è necessario abbracciare i principi di onestà e trasparenza, invece spesso si assiste a pratiche scorrette che pongono l’attenzione esclusivamente alla visibilità del brand.
La figura del testimonial
I testimonial sono ormai fondamentali per l’universo del fundraising. Infatti, sempre più diffuso è l’utilizzo di figure popolari, del mondo dello spettacolo e non solo, che vengono affiancate all’iniziativa per rafforzare la credibilità dell’iniziativa o del prodotto agli occhi del donatore. Recentemente anche i cosiddetti influencer hanno fatto il loro ingresso in questo mondo, ma in molti ci tengono a fare delle precisazioni.
“Il testimonial non riceve i soldi per quello che fa ma presta gratuitamente la sua opera all’associazione non profit per uno scopo benefico”. Commenta Veronica Manna, Corporate Fundraiser e Co-fouder di Non Profit Factory. “Il testimonial può anche essere un influencer, basta che sia una persona nota, ma la sua caratteristica deve essere la totale gratuità di quello che fa, cosa che non è avvenuta nel caso Balocco-Ferragni. In quel caso si è trattato di operazione commerciale”.
Dello stesso pensiero è Rossano Bartoli, Presidente della Lega del Filo d’oro: “Testimonial e influencer sono due figure diverse. La prima agisce secondo un principio di vicinanza emotiva alla finalità dell’organizzazione e sceglie di non percepire nulla, la seconda agisce grazie alla sua notorietà per incoraggiare una vendita e alle volte può stipulare contratti commerciali. Personalmente, abbiamo una lunga esperienza con la figura del testimonial storico Renzo Arbore, poi col tempo si è aggiunto Neri Marcorè e altri personaggi legati al mondo dello spettacolo e dello sport che agiscono esclusivamente a titolo di volontariato”.
Cause related marketing
Tra le modalità che le aziende hanno per contribuire a cause benefiche, si posiziona il “Cause Related Marketing (CRM)”, una tipologia di “brand activism”. “Rispetto alla sponsorizzazione, più tesa a una restituzione di visibilità per l’azienda, il CRM è una modalità più legata al mondo del non profit”, spiega Valentina Martano, responsabile raccolta fondi AISM. “Si tratta di un’operazione di co-marketing dove si stabilisce una partnership tra profit e non profit, finalizzata a sostenere un progetto. Il brand si impegna dunque a donare una percentuale dei propri ricavi alla causa sociale”, precisa la fundraiser.