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Ex Ilva, rottura tra governo
e ArcelorMittal: si va verso
il commissariamento

Giovedì l'incontro con i sindacati

20mila dipendenti a rischio

di Chiara Esposito09 Gennaio 2024
09 Gennaio 2024

Un operaio dell'Ilva / Foto Ansa

ROMA – Ancora incertezza per il futuro dell’ex Ilva di Taranto. L’incontro tenutosi ieri, 9 gennaio, a Palazzo Chigi tra il governo e i vertici della multinazionale Arcerol Mittal – socio privato con il 62% di quote dell’azienda – ha spazzato via ogni ipotesi di intesa tra le parti. L’esecutivo aveva infatti proposto di aumentare la partecipazione dell’agenzia governativa Invitalia al 66%, alzando quindi il capitale sociale a 320 milioni di euro. Un’azione ritenuta da Palazzo Chigi necessaria “per garantire la continuità produttiva”. Da Mittal, però, c’è stata “indisponibilità” per qualsiasi tipo di investimento, “anche come socio di minoranza”. 

Ora che la rottura con l’azienda franco-indiana è definitiva, il governo potrebbe decidere di intraprendere la strada dell’amministrazione straordinaria. Una scelta, questa, che potrebbe trovare l’opposizione del socio privato e possibile solo se si riusciranno a individuare entro il 31 maggio le risorse necessarie, circa un miliardo, per acquistare gli impianti dell’Ilva. Resta, comunque, l’idea di trovare un altro partner industriale che possa subentrare a Mittal rendendo quindi la statalizzazione delle Acciaierie solo temporanea.  

Di tutte le ipotesi si discuterà giovedì 11 gennaio, data per la quale sono stati convocati i sindacati a Palazzo Chigi, che dall’incontro si aspettano “una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori”, per scongiurare, tra le altre cose, l’ipotesi chiusura. A rischio, infatti, ci sono i 20mila dipendenti dell’Ex Ilva, con tremila già in cassa integrazione, la maggior parte a Taranto. Le Acciaierie potrebbero comunque avvalersi della norma prevista dalla Legge di Bilancio secondo cui un ulteriore periodo di cassa integrazione salariale straordinaria può essere garantita fino al 31 dicembre 2024. 

Per l’opposizione, però, non basta. Secondo il dem Andrea Orlando “l’unica strada per salvare la produzione di acciaio nazionale è quella di aumentare la partecipazione dello Stato”. E proprio sull’interesse del governo rassicura il ministro delle Imprese Adolfo Urso che promette di “riprendere in mano la situazione dopo i disastri realizzati dai governi precedenti”. 

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