In alcune sentenze la Corte europea dei diritti dell’uomo ha espresso posizioni critiche sull’amministrazione di sostegno, sottolineando abusi che comportano la violazione dei diritti fondamentali dell’individuo. Approfondisce il tema con Lumsanews l’avvocato Valentina Cafaro, che ha seguito alcuni di questi casi davanti alla Cedu.
Qual è la critica che la Corte europea dei diritti dell’uomo e altre organizzazioni internazionali muovono all’Italia?
“Sono stati messi in luce casi in cui l’amministrazione di sostegno invece di garantire la tutela della persona fragile ha provocato degenerazioni che si scontrano con alcuni dei diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Cedu. Parliamo di comportamenti che, a mio avviso, sono in contrasto con l’articolo 5 della Cedu che tutela il diritto alla libertà e alla sicurezza. Altre volte, invece, potrebbe mettersi in luce una violazione del diritto alla vita tutelato dall’articolo 2.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, tuttavia, non ha ancora mai emesso una sentenza che rilevasse una violazione di questi articoli nei casi riguardanti gli abusi dell’amministrazione di sostegno. Per esempio, nel caso Calvi – una delle più recenti sentenze della Cedu sull’amministrazione di sostegno – la Corte ha invece rilevato una violazione dell’articolo 8 che tutela la vita privata e familiare.
Possiamo parlare di violazioni solo della Cedu?
“Il meccanismo sostitutivo della persona fragile previsto dall’amministrazione di sostegno può creare un attrito con i diritti garantiti dalla Cedu, ma anche con altri strumenti di protezione internazionale, come la Convenzione delle Nazioni Unite. Quest’ultima, infatti, sancisce a tutela delle persone disabili il diritto all’autodeterminazione, anche nel momento in cui si adottano meccanismi utili alla loro tutela”.
Non è facile trovare dati che quantifichino il numero degli abusi dell’amministrazione di sostegno.
“Personalmente non è una ricerca che ho intrapreso quando mi sono occupata di questo tema davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Penso tuttavia che la difficoltà nel reperimento dei dati sia determinata dal fatto che non sono stati elaborati dei criteri per definire le situazioni di abuso. Mi è difficile immaginare un modo attraverso il quale le istituzioni possano estrarre dei numeri i cui criteri di definizione potrebbero essere troppo soggettivi. Ovviamente avere questi dati sarebbe utilissimo, perché consentirebbe di capire quali sono le falle del sistema che devono essere corrette. Perché l’istituto nasce con l’intento di proteggere le persone con delle fragilità, ma ci sono delle ricadute applicative che sono opposte”.
Secondo lei l’istituto andrebbe riformato o proprio abolito?
“Le rispondo da avvocato internazionalista e non civilista. Dal mio punto di vista, un’abrogazione dell’istituto probabilmente avrebbe un effetto peggiorativo della situazione, perché i soggetti fragili, a quel punto, potrebbero doversi trovare nella situazione di subire misure più invasive, come l’interdizione. Certo servono garanzie procedurali che consentano di evitare meccanismi di sostituzione della volontà della persona”.