Dopo settimane di incertezza, Barack Obama ha deciso di rimodulare gli aiuti militari all’Egitto. Gli Stati Uniti fanno confluire più di un miliardo e mezzo di dollari ogni anno, dei quali 1,3 miliardi sotto forma di aiuti militari al paese arabo. Sono giorni che negli States si discute su come affrontare la difficile deriva presa dalla rivoluzione egiziana. «Gli Stati uniti stanno monitorando la situazione fluida del paese – ha dichiarato il Presidente – ma il futuro dell’Egitto può essere determinato soltanto dal popolo stesso». «Ciononostante siamo preoccupati per la decisione dell’esercito egiziano di rimuovere il presidente Morsi» ha concluso Obama. Sono settimane che la presidenza americana tentenna sulla posizione da tenere nei confronti del paese dei Faraoni.
La situazione è precipitata poche ore dopo la strage di una dozzina di sostenitori della Fratellanza Musulmana al Cairo; l’amministrazione americana, lunedì scorso, aveva chiesto la «massima forza nel contenimento delle proteste», annunciando di voler fermare gli aiuti militari, che sono una costante da anni al maggiore dei paesi arabi alleati.
«Penso che non sia nel miglior interesse degli Stati Uniti cambiare immediatamente il programma di aiuti nei confronti dell’Egitto», aveva spiegato Jay Carneym il capoufficio stampa della Casa Bianca ai giornalisti, dando ulteriore prova della fluidità delle decisioni dell’Amministrazione americana. «Stiamo valutando la nostra situazione sotto il profilo legale, e ci consulteremo con il Congresso su cosa fare» aveva concluso.
L’Amministrazione Obama ha cercato in tutti i modi di ritagliarsi un ruolo neutrale nella disputa che si è aperta in Egitto. Ha evitato di definire la defenestrazione di Morsi e della Fratellanza come un colpo di Stato. Ed è ancora reticente nel dichiarare “decaduto” l’ex presidente egiziano.
Intanto, mentre il governo americano si dimena su argomento legali e con scontri semantici, un nutrito gruppo di deputati ed esperti fanno notare che per l’Egitto si stanno aprendo nuove prospettive interessanti. Sono anni che l’America minaccia la sospensione degli aiuti in caso di un mancato miglioramento delle condizioni democratiche nel paese arabo: sono le riforme che l’America vuole vedere. Forse, dicono i deputati, si sta aprendo uno spazio di manovra.
Stephen McInerney, direttore esecutivo del “Project on Middle East” ha specificato che «la legge prevede che non sia dia aiuto alcuno a un paese nel quale il potere è stato abbattuto da un colpo di Stato». «A mio avviso – ha continuato – non ci sono margini di manovra».
Data l’attuale situazione gli Stati Uniti potrebbero muoversi solo ed esclusivamente se il Congresso varasse una “special law” o il governo attuale si impegnasse, concretamente a indire nuove elezioni e a cedere il potere, ha spiegato McInerney.
Nonostante tutte queste congetture, le aspettative americane si sono scontrate con la realtà. E dopo il bagno di sangue di lunedì scorso le speranze americane si sono affievolite, se non spente. «Malvolentieri, credo sia il caso di sospendere gli aiuti – aveva dichiarato il senatore John McCain durante il programma dell’emittente CBS “Face the nation” – almeno fino a quando non sia stata varata una nuova Costituzione e non si siano svolte libere elezioni».
Leonardo Rossi