Armando Compagnone lavora presso il centro minori maschile di San Patrignano. A Lumsanews ha raccontato la sua esperienza come educatore.
Chi sono e quanti anni hanno i ragazzi che ospitate nel centro minori maschile di San Patrignano?
“A grandi linee noi ospitiamo minori da tutto il territorio nazionale. La nostra fascia d’età rispetto all’accoglienza va dai 12 anni alla maggiore età, quindi abbiamo preadolescenza e adolescenza. Sono due fasce d’età completamente diverse. A ridosso della maggiore età c’è quasi sempre anche un uso di sostanze, invece nella fascia d’età un po’ più bassa, dai 12 e 15 anni, tendenzialmente si è più legati al fascino della devianza, magari perché si proviene da situazioni familiari di abbandono e difficili dal punto di vista economico. Nel 90% dei casi, infatti, i ragazzi arrivano da contesti di grosso degrado o di mancanza totale delle figure genitoriali, spesso con uno dei due genitori o in carcere o tossicodipendente. In questi casi si può incappare in varie fattispecie di reato: dal furto al supermercato piuttosto che al furto di vestiti in qualche negozio per il semplice desiderio di poter avere un qualcosa di firmato”.
I social incidono?
“Sicuramente. Questa tipologia di reati è influenzata dai social. Il mondo della musica trap, poi, insegna a ostentare il denaro e come farlo senza sacrifici e studio. Lo riscontriamo spesso quando arrivano nelle nostre strutture minorili”.
I ragazzi spesso agiscono in branco per farsi forza e identificarsi in qualcosa. Come li recuperate?
“Riproponiamo la stessa cosa ma in un ambiente sano in cui la quotidianità ruota attorno alla formazione scolastica e ad attività ludico ricreative. Da subito riusciamo a coinvolgerli in quelle che sono le nostre attività, ma tutto dipende dall’andamento del gruppo. La tendenza è che loro si accodano in maniera irrazionale, quindi, riconoscono sempre un capobranco. Però in un contesto comunitario il capobranco diventa l’educatore o il coordinatore”.
La stretta penale sulla criminalità minorile è giusta?
“Credo sia giusto lasciare fare il proprio corso alla giustizia con provvedimenti adeguati rispetto a determinate situazioni. Noi abbiamo diversi ragazzi in misura alternativa e messa alla prova, piuttosto che in custodia cautelare. Credo che la rete che si crea attorno a un ragazzo o una ragazza sia fondamentale per il recupero, la rieducazione e il riscatto”.
Lei lavora come educatore da più di dieci anni. Secondo lei i giovani sono cambiati?
“Sì, i ragazzi sono molto più avanti rispetto ai minori di qualche anno fa perché le informazioni che ricevono sono diverse e perché hanno degli stimoli diversi rispetto agli scorsi anni. Ha influito l’avvento della tecnologia. Penso, però, che ci sia stato un vero e proprio cambiamento di mentalità che li porta a scegliere sempre la strada più semplice e meno faticosa. E questo perché manca il rispetto per l’autorità. La barriera è stata proprio buttata giù. Così, tutto diventa una sfida”.
Cosa funziona a livello educativo con i ragazzi di oggi?
“L’unico approccio che funziona (provato sul campo) è fare insieme a loro. Questo perché un adolescente non ascolterà mai il consiglio di un adulto, ma lo imiterà in tutto. Quindi più che una figura autoritaria serve qualcuno che lo accompagni e che gli dia l’esempio, come se fosse un fratello maggiore. È per questo che la nostra equipe e il nostro gruppo di educatori ha tutta un’età molto bassa, perché così si mantiene il ruolo senza sfociare in troppa autorevolezza, che però sorprendentemente sono proprio loro stessi a cercare. Hanno bisogno di quel riferimento, forse perché non hanno mai avuto una figura del genere”.