Giorgia Perletta è assegnista di ricerca nel dipartimento di Scienze politiche e sociali all’università di Bologna e adjunct lecturer nella Graduate School for Economics and International Relations di Milano. Dal 2020 ricopre il ruolo di visiting lecturer all’Università di Economia e Commercio di Praga. Tra le sue recenti pubblicazioni il volume Political Radicalism in Iran and Ahmadinejad’s presidencies. A Lumsanews ha spiegato cosa sta accadendo in Iran e la forza del regime.
Che cosa si intende per regime teocratico, la forma di governo attuale in Iran?
“Secondo me è un’espressione che calza poco con la realtà iraniana. Parliamo, piuttosto, di un sistema statale di tipo duale. Ovvero assistiamo alla compresenza di due tipi di autorità: un’autorità religiosa che è raffigurata dalla guida Suprema che in questo momento è l’Ayatollah Khamenei e il presidente della Repubblica che rappresenta invece l’autorità repubblicana. Quindi abbiamo la compresenza di questi due sistemi di potere, uno repubblicano e uno religioso”.
Cosa significa?
“Questo significa che mentre per il Presidente della Repubblica si passa attraverso una elezione di tipo popolare con suffragio universale ogni quattro anni, la guida Suprema ha carica a vita e viene incaricata da un consiglio (assemblea degli esperti). Khomeini ha rivestito la guida suprema dal ‘79 all’89 e poi la carica è stata affidata all’Ayatollah Khamenei. Quindi al momento l’Iran ha visto due guide supreme alternarsi. La guida Suprema, doveva essere una figura super partes, quindi bilanciare le varie correnti politiche interne. Ovviamente il suo ruolo è cambiato nel tempo”.
Si sta andando progressivamente verso una radicalizzazione del potere oppure verso un’apertura?
“Dal 2009 ad oggi abbiamo assistito a una progressiva, ma costante eliminazione di tutte le opposizioni interne al sistema. In quell’anno con l’elezione fraudolenta di Ahmadinejad, abbiamo assistito a un irrigidimento delle figure conservatrici legate agli apparati militari e all’organo della magistratura a detrimento di quelle riformiste”.
Quali sono le principali tra differenze le proteste del 2009 e quelle di oggi?
“Le manifestazioni del 2009 sono manifestazioni che contestano la rielezione politica a causa dei brogli e la protesta nasce soprattutto dal ceto medio di Teheran. Si espande, poi, anche in diverse zone del paese. Mentre le proteste che abbiamo visto da settembre ad oggi non hanno una guida politica e quindi sono prive di una leadership, di un coordinamento dall’alto che riesca a mettere a sistema le diverse aspirazioni dei manifestanti”.
Vi è, dunque, secondo lei la volontà eversiva nei confronti del regime?
“Queste proteste hanno un chiaro carattere anti-sistemico. Se prima del 2022 abbiamo assistito a proteste caratterizzate da un malcontento economico, dalla privazione di salari adeguato al più alto costo della vita, oggi, assistiamo a proteste di carattere politico contro il sistema politico”.
Sono soprattutto i giovani a guidarle?
“Non sono proteste solamente giovanili. Ci sono anche persone più anziane che simpatizzano con i giovani in piazza. Non la definirei né una protesta giovanile né una protesta puramente femminista”.
Cosa intende?
“Le donne portano in piazza un concetto più ampio che va al di là della semplice discriminazione contro la figura femminile. Assistiamo, infatti, alla partecipazione di gruppi etnici minoritari, di uomini, studenti universitari, quindi diciamo c’è una componente molto più ampia che non si limita esclusivamente né al gruppo giovanile né a quello femminile”.
Quale è stato il motivo che ha portato a questo punto di rottura?
“Secondo me sono stati diversi fattori. In primo luogo il fatto che dal 2009 ad oggi è venuta meno quell’idea che una forza politica interna potesse riformare il Paese. Ma i temi di liberalizzazione sociale non sono stati affrontati. C’è proprio una disillusione nei confronti del sistema e nelle forze riformiste. Inoltre, l’Iran sta attraversando un periodo di grande crisi economica. I tassi di inflazione sfiorano il 50%, la disoccupazione è altissima, soprattutto quella giovanile”.
Secondo lei potrebbe celarsi il regime dietro agli avvelenamenti o va escluso?
“Credo che bisogna ricercare i responsabili all’interno del sistema. Probabilmente non rappresentano neanche tutta la macchina repressiva del sistema. È possibile che sia stato un gruppo senza il parere favorevole degli altri. Io mi sento di escludere condizionamenti o interferenze esterne. Quindi non credo che dietro queste forme di avvelenamento ci sia la mano dei mujaheddin-e khlqo gruppi esterni al sistema”.
Cosa significa la chiusura dell’accesso a Internet per il regime e che ruolo ha giocato l’Occidente nelle manifestazioni?
“Internet è bloccato per due motivi: uno per non far vedere all’estero quello che succede nel Paese, ma soprattutto per evitare forme di collaborazione interna, quindi evitare che le persone scambiano idee e comunichino tra loro. A mio avviso l’Occidente non ha giocato nessun ruolo. Credo che non ci sia nessuna mano esterna a muovere i manifestanti in Iran. È una protesta tutta interna.
Crede che le manifestazioni possano portare a dei cambiamenti politici radicali?
“Non nell’immediato, perché hanno troppi limiti interni e perché manca un movimento maturo di contestazione politica con una leadership e un coordinamento. Solo quando parteciperanno anche i gruppi fondamentali della società iraniana come i commercianti e i lavoratori del settore petrolchimico allora potremmo forse parlare di un cambiamento di tipo rivoluzionario”.