HomeCronaca Google Big Tent: ecco le nuove sfide per la cultura nell’era digitale

Google Big Tent: ecco le nuove sfide per la cultura nell’era digitale

di Giulia Prosperetti06 Luglio 2013
06 Luglio 2013

 

Big tent. In una parola “tendone”, quello ampio e colorato che Google monta in giro per il mondo per discutere dell’impatto di internet sulla società. Giovedì scorso, per la prima volta, l’evento è stato organizzato a Roma per indagare la specificità italiana del rapporto con la Rete. Da noi niente tenda (forse per evitare la tortuosa burocrazia romana dei permessi?) ma, a ospitarlo, l’Aranciera di San Sisto alle Terme di Caracalla, allestita in stile “Google” per l’occasione.

Le piattaforme digitali possono aiutare l’industria culturale e del contenuto a diventare motore di crescita e innovazione per il Paese? E’ uno degli interrogativi con cui si sono confrontati gli oltre venti giornalisti, guru di internet, politici ed editori nel corso dell’incontro moderato da Riccardo Luna, ex direttore dell’edizione italiana di Wired e, non a caso, il giornalista promotore della candidatura di internet al Nobel per la Pace nel 2010.

Ad aprire i lavori il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Massimo Bray, che ha annunciato tra i suoi obiettivi la «dematerializzazione del patrimonio culturale pubblico», per farne, attraverso il web un «volano di crescita».

L’evangelista di internet. Al centro della giornata, l’atteso e twittatissimo intervento di Vint Cerf. Questo signore di settant’anni, il cui nome ha una curiosa assonanza con la parola “wind surf” pronunciata alla tedesca, è uno dei padri fondatori di internet (ha inventato insieme a Bob Kahn il protocollo Tcp/Ip) e, dal 2005, Vice Presidente e “Chief Evangelist” di Google. Un titolo sul quale scherza dal palco del “Big Tent” mostrando una buffa foto in cui ha le sembianze di un santone: «Da buon evangelista voglio convertire tutti». A internet s’intende. Il suo motto è, infatti, «adapt or die», se non vuoi morire impara ad adattarti. Una sorta di teoria darwiniana della rete che secondo Cerf rappresenta una tecnologia «distruttiva», di rottura con il passato: «Un po’ come quando da piccolo giocavo al piccolo chimico e mi divertivo a mescolare le sostanze per farle esplodere. Con Internet è stata la stessa cosa, mi piaceva sapere che poteva far saltare tutto in aria».

Ma sul futuro del giornalismo, nonostante l’impatto della Rete, il padre di internet si mostra ottimista. «Il giornalismo di qualità richiede dei costi ma è essenziale per una società democratica quindi dobbiamo fare in modo che l’informazione diventi redditizia. Si può fare, ci sono diversi modelli di business per l’informazione on line ma il problema in Italia è che non ci sono abbastanza persone connesse e le connessioni che ci sono, sono lente». Una critica e un invito alle Telco italiane colpevoli dei gravi ritardi infrastrutturali nel nostro Paese. E se viene sottolineata l’importanza di internet, attenti a considerarlo un diritto umano. Vint Cerf, è tornato sulla spinosa questione che, lo scorso anno, l’ha visto al centro delle critiche, dopo la pubblicazione del suo editoriale sul New York Times, ribadendo la sua posizione. «Non si può elevare una tecnologia a un livello così alto», ha detto, pur ricordando l’impegno di Google per consentire a tutti nel mondo l’accesso a internet.

Cyberteologia. Se Cerf è l’ “evangelista di internet”, Antonio Spadaro si merita, senza dubbio, l’appellativo di  “cyber teologo”. Il gesuita, direttore de “La Civiltà Cattolica” ha conquistato la platea del “Big Tent” con la sua prospettiva innovativa. «Le risposte ai problemi che pone la Rete? Le trovo nei documenti del Concilio di Trento». La Chiesa e internet, secondo Spadaro, sono da sempre destinate a incontrarsi, «è il progetto di Dio». E le sue dichiarazioni su un’ “etica hacker” non così lontana dalla visione cristiana dell’esistenza sono subito schizzate tra i top tweet della giornata.

Editoria e web. Con uno sguardo al futuro, ma, verrebbe da dire, tutto il resto del corpo saldamente ancorato al passato l’editore e presidente di Confindustria Cultura Italia, Marco Polillo, ha difeso il valore della carta o meglio del suo contenuto. Internet può offrire nuove possibilità interessanti come la digitalizzazione delle opere per favorirne la consultazione ma … «non crediate che il futuro sia il self publishing. Tra Wikipedia e la Treccani c’è un abisso». Digitale sì, quindi, ma solo se esiste un più autorevole originale cartaceo.

Il problema dell’editoria si può riassumere così: «una crisi nella trasformazione». A dirlo il Sottosegretario di Stato per l’Editoria Giovanni Legnini che ha posto l’accento sul mancato adeguamento degli strumenti normativi. «Il problema del rapporto tra i contenuti editoriali e il diritto d’autore si può affrontare in tre modi: ignorando la questione, utilizzando la normativa in modo classico o, ed è l’opzione che preferisco, privilegiando lo strumento negoziale accompagnato da un elemento di arbitrato dello Stato», ha detto Legnini che ha, poi, lanciato una sfida a Google per trovare una via di accordo originale con gli editori in Italia.

Informazione 2.0. «Una volta nei giornali c’erano “quelli del web”». Ora, per il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi, il futuro è nell’integrazione come dimostra la nuova sede del giornale di Tornino, open space e a cerchi concentrici. «Bisogna adeguarsi alle trasformazioni che impone la Rete», ha detto Calabresi. Un esempio? «Il “Buongiorno” di Gramellini prima era tra i contenuti a pagamento del sito, ma le poche righe della rubrica venivano facilmente diffuse on line e sui social network pochi minuti dopo la pubblicazione. Così abbiamo deciso di aprirci il sito ogni mattina».

E se una volta i giornalisti della carta erano schizzinosi quando sentivano parlare di web «ora le firme del Corriere spingono perché i loro articoli vengano pubblicati on line». Per Daniele Manca, Vicedirettore del “Corriere della Sera” «Internet, per la prima volta, ha permesso ai giornalisti di capire che ci sono dei lettori». Ora la sfida per l’editoria come per la musica è trovare nuovi modelli di business. Ma, prima ancora, far percepire ai consumatori il valore reale dei contenuti immateriali presenti on line.

Giulia Prosperetti

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