Una guerra che almeno nelle aspettative del presidente russo Vladimir Putin sembrava potesse concludersi in qualche settimana si trascina tragicamente da un anno, con il suo carico di morti, feriti, dolore e distruzione.
Quella concentrazione massiccia di mezzi militari russi al confine con l’Ucraina era stata sottovalutata da molti ma non dagli Stati Uniti. Davvero in quei giorni di febbraio sembrava impossibile che la Federazione Russa potesse intraprendere un’operazione militare tanto azzardata.
Un Paese sovrano a due passi dalle capitali europee era stato aggredito e invaso all’alba del 24 febbraio 2022. Improvvisamente il mondo si trovava di fronte a uno scenario che aveva ignorato per anni ma che agli occhi più attenti si era già ben delineato. E sui motivi profondi che avevano scatenato quella che già nei primi giorni si stava profilando come una carneficina, l’opinione pubblica dei Paesi occidentali ha dovuto in fretta chiedersi perché tutto questo stava accadendo.
Il processo di guerra nasce di fatto dalla conclusione di un’altra lunga fase storica di tensione, vale a dire dalla fine della Guerra Fredda. All’inizio degli anni Novanta, argomenta a Lumsanews l’analista geopolitico Elia Morelli, gli Stati Uniti avevano deluso le aspettative russe di ottenere delle garanzie securitarie rispetto al mantenimento di una zona cuscinetto nell’Europa dell’Est, in corrispondenza dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Al contrario, la Nato aveva cominciato a espandersi verso oriente, avvicinandosi sempre di più al confine con la Russia, o per meglio dire alla sua area di influenza.
È nel 2014 che l’Ucraina entra di fatto nel campo occidentale. Le manifestazioni filo europee, note come Euromaidan, che attraversano alcune città ucraine tra cui la capitale Kiev, mettono in fuga il presidente Viktor Janukovyč, che aveva interrotto i negoziati per l’ingresso del Paese nell’Unione Europea. L’annessione della Crimea da parte della Russia e l’inizio della guerra civile nelle province orientali del Donbass, descritta da Ennio Bordato in un’intervista, rappresentano la prima fase del conflitto.
Lo scontro tra le grandi potenze e l’arma alimentare-energetica
Sono quindi due i livelli da considerare nell’analisi della guerra in Ucraina: quello dello scontro tra grandi potenze, gli Stati Uniti e la Russia, in un contesto che va ben oltre i confini ucraini, e quello più concreto che riguarda la battaglia sul campo, abitato dalla popolazione civile che da mesi paga le conseguenze del conflitto, avendo la sola colpa di vivere in un territorio conteso.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’onda d’urto della guerra ha investito aree del pianeta anche molto distanti geograficamente dal suo epicentro. La crisi alimentare ed energetica innescata dal conflitto ha stravolto le relazioni internazionali a livello globale. La regione mediorientale e del Nord Africa è stata profondamente danneggiata dalla carenza di materie prime come il grano proveniente dall’Ucraina, mentre in Europa abbiamo vissuto in prima persona la crisi energetica.
Michele Polo, professore di economia all’Università Bocconi, approfondisce le ripercussioni economiche della guerra. L’Europa da un lato si è attivata per ridurre la sua dipendenza dalle risorse fossili russe, recuperando i rapporti con i Paesi del Golfo Arabo e della sponda meridionale del Mediterraneo, in primis l’Algeria, dall’altro ha imposto delle sanzioni contro Mosca per isolarla dai circuiti internazionali. A sua volta, la Russia si è adoperata per accedere a nuovi mercati, in particolare rafforzando il suo legame con la Cina, che pure ha colto le opportunità offerte dal conflitto, da sfruttare nella sua competizione con gli Stati Uniti.
L’Europa ha preso parte alla guerra attraverso l’invio di armi all’Ucraina, questione che ha aperto un dibattito delicato all’interno del nostro Paese, dove ancora si discute sull’opportunità o meno di sostenere militarmente Kiev. Il generale Salvatore Farina, ex capo di Stato maggiore dell’Esercito, entra nel vivo del tema approfondendo per Lumsanews le strategie belliche delle parti coinvolte, raccontando il tipo di armamenti a loro disposizione.
Il sostegno all’Ucraina ha anche messo in luce le diverse anime che caratterizzano la Nato e l’Europa, i cui Paesi percepiscono in maniera profondamente diversa la minaccia russa, per ragioni di tipo storico e geografico. La guerra ha pertanto avuto e continua ad avere un impatto sugli equilibri di potenza all’interno del nostro continente.
A rendere tali geometrie ancora più precarie è la minaccia dell’uso dell’arma atomica da parte di Mosca. Una eventualità che potrebbe essere teoricamente innescata da eventi al momento ipotetici, sebbene nessuna delle parti in conflitto guadagnerebbe da un tale sviluppo. Il tentativo occidentale di reinserire entro i confini ucraini la Crimea, ormai considerata dalla Federazione russa parte del proprio territorio, potrebbe essere per esempio la scintilla di una escalation nucleare.
Un conflitto che si infiamma anche con la propaganda
Tutte le guerre si combattono anche sul piano della propaganda. Il conflitto russo-ucraino è stato presentato in Occidente e in Russia con due narrazioni opposte e incompatibili, con entrambe le fazioni che descrivono la loro azione militare come una difesa dalle aggressioni del nemico. Cassa di risonanza dei racconti di guerra sono stati i social media, utilizzati in maniera massiccia per la prima volta nella storia, come spiega il ricercatore dell’Università Lumsa Francesco Nespoli. Quella in Ucraina è senza dubbio la guerra più mediatizzata di sempre: il costante aggiornamento da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky del suo canale Telegram, insieme ai suoi interventi in numerosissimi contesti internazionali ne sono un chiaro esempio. Similmente, gli stessi cittadini ucraini hanno diffuso immagini e video di guerra sulle diverse piattaforme.
Non in Russia però. Lì l’informazione viene rigidamente controllata dal Cremlino. Non è possibile accedere a Instagram e Facebook, e i giornali indipendenti, come Novaya Gazeta, sono stati bollati dal governo come agenti stranieri, etichetta che ne limita enormemente la libertà di stampa. Stessa sorte è toccata a chiunque esprimesse una versione della guerra alternativa a quella proposta dal governo. Queste restrizioni hanno reso complicata non solo la diffusione di consapevolezza tra i cittadini russi in merito al conflitto, ma anche la nostra capacità di comprendere la percezione della guerra da parte della popolazione.
I social, che ci hanno bombardato di immagini di guerra trasmesse in maniera quasi cinematografica, hanno poi contribuito a quel fenomeno di assuefazione alla violenza che ha caratterizzato gli ultimi mesi. Così abbiamo finito per abituarci alla guerra, abbiamo smesso di sconvolgerci per le notizie degli attacchi, dimenticando che russi e ucraini continuano a morire. Alcuni testimoni diretti hanno condiviso la loro esperienza con Lumsanews. “Non c’è nessun posto dove scappare quando hai un bambino piccolo”, racconta Maria, una donna di Severodonetsk, che ha attraversato l’Europa per rifugiarsi a Roma. “Se potessi tornerei a casa a piedi – continua – ma forse la mia casa non esiste nemmeno più”.
Insieme a lei è fuggito circa un terzo della popolazione ucraina. Soprattutto donne e bambini, raccontano i dati del ministero dell’Interno ucraino. Più di otto milioni di profughi che hanno posto un’ulteriore sfida a un’Europa già fiaccata da due anni di pandemia. Per far fronte all’emergenza umanitaria l’Ue ha elaborato normative ad hoc finalizzate a garantire la più tempestiva ed efficace assistenza agli ucraini che chiedevano un rifugio.
I combattimenti che hanno insanguinato i fronti di guerra, quindi, si sono svolti ben oltre i confini ucraini, dispiegandosi anche sul piano della narrazione del conflitto, della propaganda, dei social media, delle sanzioni. Abbiamo imparato a nostre spese che queste ultime sono un’arma a doppio taglio, visti i contraccolpi subiti dalla nostra economia per l’interruzione dei rapporti con la Russia, tradizionale partner energetico. Insieme a quello delle risorse fossili, sono diversi anche gli aspetti su cui la guerra ha avuto un impatto diretto, in uno spettro che spazia dall’ambito militare a quello economico, a quello umano.
Come cambiano gli equilibri mondiali
Una delle lezioni di quest’anno è quanto sia difficile prevedere stravolgimenti geopolitici di grande portata. La guerra ha posto sfide da affrontare e opportunità da sfruttare. Ha scompaginato le relazioni internazionali a livello globale, allontanando Paesi che prima collaboravano, ricucendo le tensioni tra Stati fra loro diffidenti, dando vita a nuove e inaspettate unioni. Con poste in gioco talmente elevate è difficile che i belligeranti siano disposti a scendere a compromessi.
Al contrario, faranno di tutto per sedersi a un eventuale tavolo negoziale in posizione di forza. Con l’Ucraina che dipende dai rifornimenti occidentali, l’esaurimento delle sue risorse materiali potrebbe portare alla sua sconfitta. Ma le forze spirituali hanno altrettanta importanza: la resistenza del fronte interno russo e ucraino potrebbe allo stesso modo determinare le sorti del conflitto.
L’analista di geopolitica e geostrategia Mirko Mussetti propone uno scenario “coreano”. Si tratterebbe di un riconoscimento informale della situazione sul campo: incapaci di procedere, le parti accetterebbero lo stallo senza firmare un trattato di pace, come successe in Corea quando la linea della tregua venne fissata lungo il 38° parallelo. Con un futuro incerto, l’unica previsione che si può avanzare non lascia spazio all’ottimismo: qualunque sarà la sua forma, la fine della guerra non sembra ancora a portata di mano.