ROMA – Al termine dell’incontro con il Ministero del Lavoro i sindacati hanno annunciato che, al netto di Opzione donna, il governo, per la riforma complessiva delle pensioni, sta pensando di estendere i quattro mesi di anticipo per ogni figlio a tutte le forme pensionistiche per le donne. La misura, già prevista dalla riforma Dini del 1995 solo per chi è nel regime contributivo pieno, comporterebbe 700 milioni di spesa in più. Come specificato da Pierpaolo Bombardieri, segretario generale Uil, il governo ha dichiarato l’intenzione di modificare la norma su Opzione donna, pur non specificando se si tratterà di “un’ulteriore modifica o il rispristino” della forma precedente all’ultima legge di Bilancio.
La cosiddetta Opzione Donna, introdotta dalla legge n.243/2004, prevede la possibilità – per le lavoratrici che abbiano maturato 35 anni di contributi e 57 anni di età per le dipendenti del settore pubblico e privato e di 58 per le autonome – di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico, a condizione di optare per il sistema del calcolo contributivo integrale. Opzione Donna è stata più volte modificata nel corso degli anni e ha subito notevoli restrizioni nell’ultima legge di Bilancio. Quest’ultima, infatti, ha previsto che possano accedere a questo strumento le lavoratrici con 35 anni di contributi e che abbiano raggiunto i 60 anni di età, ma solo se caregiver, inabili al 74% o esuberi di aziende in crisi. Il criterio anagrafico, inoltre, si abbassa a 58 anni di età per le donne che abbiano due figli e a 59 per quelle che abbiano un solo figlio.
La misura, nella sua attuale formulazione, secondo il segretario Confederale della Cgil, Christian Ferrari, andrebbe a penalizzare circa 25mila lavoratrici. Il segretario della Cisl, Ignazio Ganga, esprime, invece, il suo apprezzamento per l’apertura del governo sulla possibilità di modificare Opzione Donna, sottolineando che in qualche modo l’esecutivo abbia riconosciuto lo squilibrio della misura.