Il 24 febbraio l’aggressione russa ha totalmente stravolto la vita del popolo ucraino. I cittadini, però, hanno dimostrato in ogni modo la loro forza d’animo. Tra tanti, i volontari hanno svolto un lavoro enorme per aiutare i rifugiati. A Lumsanews uno di loro ha raccontato il suo impegno in questo ultimo anno. Si chiama Vladislav Svitsa, è originario di Kiev, ha 42 anni, è sposato e ha tre figli. Prima della guerra era dirigente di un’azienda a Cherkasy, nell’Ucraina centrale, ma allo scoppio del conflitto ha lasciato tutto e ha creato una fondazione. Ora viaggia in tutta Europa per rispondere alle esigenze del suo popolo.
Dove si trovava il 24 febbraio?
“Ero in viaggio d’affari vicino a Cherkasy. Verso le 5 del mattino, un’amica mi chiama e mi dice che la guerra era iniziata. Sono corso a casa. Mentre guidavo, ho chiamato mia moglie e le ho detto di fare le valigie. Arrivato da lei siamo saliti su due macchine per portare più cose possibile, come cibo e tutto quello che poteva servirci. Siamo andati nell’ovest dell’Ucraina, nei Carpazi. Abbiamo lasciato Kiev la mattina del 24 febbraio e siamo arrivati il giorno dopo intorno alle 14, impiegando il doppio del tempo previsto, perché le strade erano bloccate, molte persone stavano scappando. Lì ci ha ospitati un mio amico. La sua casa ha dieci posti letto, ma in quel periodo eravamo in quaranta e abbiamo vissuto tutti insieme nei primi giorni di guerra. Mia moglie e mio figlio di 4 anni si trovano ancora lì”.
Come vi sentivate in quei giorni?
“Il giorno dopo lo scoppio della guerra, quando eravamo tutti dal mio amico, ci siamo riuniti per parlare. Dovevamo fare qualcosa, non potevamo solo nasconderci. La prima cosa che abbiamo fatto è stata andare al commissariato militare per farci arruolare. Ma non avendo esperienza siamo stati rifiutati. All’inizio, infatti, venivano presi solo quelli che avevano esperienza. Ci siamo rivolti a tre commissariati militari diversi e siamo stati respinti da tutti e tre”.
Non potendovi arruolare cosa avete fatto?
“Ci siamo offerti come volontari. In quel periodo in tutta l’Ucraina c’era un problema logistico molto grande: un enorme flusso di persone lasciava le città, i treni erano sovraffollati, c’era un’enorme confusione, le persone che non possedevano le auto non avevano modo di spostarsi. Così a Lviv abbiamo trovato un magazzino dove fin dai primi giorni sono stati portati gli aiuti umanitari che arrivavano dall’Europa. Almeno chi non riusciva a scappare aveva dei beni di prima necessità. Alcuni giorni dopo sono andato a Dnipro per portare aiuti umanitari e medicinali destinati a un’unità militare. Arrivato lì ho saputo che a Mariupol c’era una famiglia di tre persone, padre madre e una figlia piccola, che aveva bisogno di fuggire. Il problema era che Mariupol dista tre ore di auto da Dnipro. Non sapevo dove fossero le truppe russe, ma ho deciso lo stesso di andare. Durante il viaggio di ritorno verso ovest, sentivamo le esplosioni ovunque. Il giorno dopo abbiamo saputo che Mariupol era ‘finita’, che di notte i russi avevano circondato la città e che non c’era modo di uscire dalla zona… Ci siamo salvati per poco”.
Come è cambiata la sua vita?
“La vita è cambiata radicalmente per tutti in Ucraina. Non sono più dirigente, ma un volontario che dedica quasi tutto il suo tempo ad aiutare e viaggiare. In quest’anno siamo riusciti a cambiare tantissime cose. Consegniamo continuamente aiuti umanitari, ma forse la cosa più importante che abbiamo fatto, io e i miei amici, è stata quella di creare la nostra fondazione di beneficenza, un’organizzazione chiamata VOLUNTEERS.UA FOUNDATION“.
Cosa fa la vostra organizzazione?
“Dall’inizio della guerra ho trasportato più di 40 tonnellate di aiuti umanitari tra vestiti e alimenti. Qualsiasi tipo di assistenza ai civili e ai militari è essenziale. Tra novembre e dicembre abbiamo viaggiato molto all’estero per acquistare i generatori e le batterie che sono stati inviati ai militari e agli ospedali. Vorremmo produrre protesi per i bambini e per i soldati rimasti invalidi a causa della guerra. Abbiamo già dei prototipi su cui abbiamo iniziato a lavorare all’inizio dell’autunno, ma a causa dei pesanti bombardamenti sulle infrastrutture e della perdita di energia elettrica, abbiamo sospeso il lavoro. Allo stesso tempo, stiamo sviluppando una macchina drone per aiutare a disinnescare le mine. Questa macchina andrà in giro e rimuoverà gli ordigni che sono stati posizionati nelle foreste o negli edifici, avrà una telecamera telecomandata e sarà di grande aiuto ai militari. Vogliamo sviluppare anche droni marini”.
Com’è la situazione in Ucraina oggi?
“La situazione è piuttosto complicata. Gli allarmi antiaereo suonano spesso. Quando decollano i bombardieri russi, che possono colpire ovunque con i missili, viene annunciato l’allarme in tutto il paese. Nelle zone vicine al fronte le sirene sono molto frequenti. Ad esempio, l’altro giorno eravamo nella regione di Dnipro e l’allarme è suonato sette volte. Quando ci sono bombardamenti massicci, l’allarme può durare quattro o cinque ore. Durante i raid aerei gli autobus, i tram e le metropolitane smettono di funzionare, le stazioni di servizio e i negozi chiudono. La gente si nasconde dove può: in scantinati, rifugi antiatomici o in casa”.
Qual è secondo lei una soluzione per questo conflitto?
“Si tratta di una questione molto complessa, in quanto per gli ucraini esiste una sola soluzione: il recupero di tutti i loro territori, compresa la Crimea. Per tutti gli ucraini è estremamente importante e non siamo disposti a rinunciare alla nostra terra. È per questo che sono morti tanti civili e tanti soldati. Noi stiamo combattendo per la nostra casa, per la nostra libertà, per il nostro futuro. Gli ucraini sono fiduciosi: sappiamo che tutto andrà bene e che l’Ucraina resisterà per sempre”.