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HomeCronaca “L’invasione dei cinghiali è frutto di errori umani e dei piani di ripopolamento”

"L'invasione dei cinghiali
è frutto di errori umani
e di piani di ripopolamento"

Michela Brambilla, fondatrice di Leidaa

"La sterilizzazione è una soluzione"

di Paola Palazzo28 Marzo 2022
28 Marzo 2022

Michela Brambilla è membro della Camera dei deputati della Repubblica italiana. Ha fondato la Lega italiana Difesa animali e ambiente che si occupa di promuovere il riconoscimento dei diritti degli animali e la tutela dell’ambiente.

Da decenni nella Capitale si parla di emergenza cinghiali. Perché secondo lei c’è un surplus di questa specie all’interno della città? 

“Ricordiamo innanzitutto due fatti strutturali: Roma, con oltre 1287 chilometri quadrati di superficie, è di gran lunga il più grande Comune italiano. Ed è anche una delle città più verdi del mondo, con il 33,8 per cento di spazio verde tra aree naturali, spazi verdi creati dall’uomo e terreni agricoli. In questo contesto le strade cosparse di rifiuti, dal centro alla periferia, diventano “ristoranti” irresistibili: topi e gabbiani arrivano dovunque, i cinghiali dove possono”.

Finora che cosa è stato fatto per cercare di fermare la diffusione dei cinghiali nelle aree urbane? Cosa non ha funzionato nella gestione della diffusione di questa specie?

“La forte presenza di ungulati dipende dagli errori umani. Succede, quando l’obiettivo non è un sano equilibrio, ma fare favori alle doppiette. Per decenni sono stati fatti ripopolamenti dissennati, con cinghiali provenienti dall’est europeo, grandi e prolifici, perché cacciare faceva piacere e portava voti. Per decenni si sono tollerati foraggiamenti incontrollati e dispersione di rifiuti organici nell’ambiente. E ora lo credo bene che si piange. Bisogna uscire dalla logica contraddittoria in base alla quale si vorrebbero abbastanza cinghiali (o cervi o caprioli…) per divertire i cacciatori e rifornire la filiera della selvaggina, ma non abbastanza per danneggiare gli agricoltori o interferire con la vita urbana. La fauna selvatica, patrimonio di tutti, va gestita e difesa come valore in sé, non in funzione degli interessi di alcune categorie. In questi casi la caccia non solo non è un rimedio, ma può aggravare la situazione. Sul cinghiale, ad esempio, la letteratura scientifica è unanime: la caccia scardina la struttura dei branchi e induce le femmine a riprodursi due volte l’anno invece che una sola, spesso con cucciolate numerose”.

Leidaa quali proposte ha avanzato al Comune di Roma o alla Regione Lazio per trovare una soluzione?

“Basta un po’ di buon senso per capire che fucilate e braccate “spingono” gli animali verso la città dove si sentono (e sono) più sicuri perché tra le case non si può sparare, che le recinzioni delle aree verdi vanno riparate e rinforzate, magari elettrificate, che le strade devono essere regolarmente pulite e i contenitori di rifiuti a prova di cinghiale”.

Nel 2019 era stato avviato un Protocollo tra Regione e Comune per gestire i cinghiali nella città ma non ha portato i risultati sperati. Secondo lei perché?

“Il protocollo è fatto male, ha prodotto solo rimpalli di responsabilità tra Regione e Roma Capitale e l’orribile massacro dei cinghiali nel parco Moderni. In quell’occasione s’è visto quanto i romani amano questi animali: miti, intelligenti, socievoli, ben diversi da come vengono dipinti”.

Secondo l’Ente Roma Natura si dovrebbe puntare anche sulla sterilizzazione che però ha dei costi molto elevati e difficoltà logistiche. La sterilizzazione può essere una soluzione?

“Certamente. Nella legge finanziaria, approvata a dicembre, abbiamo istituito un fondo di 500mila euro  per l’introduzione in Italia del vaccino immuno-contraccettivo GonaCon. E’ un vaccino americano, già utilizzato per i cervi, e oggetto di numerosi progetti per il controllo della fertilità della fauna selvatica, coordinati da un centro specializzato nel Regno Unito. E’ già stato sperimentato con successo sui cinghiali ed è il più promettente di una serie di prodotti similari. I costi sono all’inizio maggiori, perché richiede la cattura degli animali per la somministrazione. Ma il controllo della fertilità ha meno probabilità di influenzare il comportamento sociale e gli spostamenti degli animali selvatici. La riduzione della popolazione avviene gradualmente, senza aprire “vuoti” improvvisi nei branchi,  e senza effetti collaterali. Effetti positivi si vedrebbero nel giro di 3-5 anni. Con adeguati investimenti su questi metodi, il problema si può risolvere. Certo, così non ci si divertirebbe a sparare, come vorrebbero i cacciatori”.

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