Ieri sera a Palermo il suicidio calcistico della nazionale di Mancini è diventato una triste realtà. Nonostante il trionfo di pochi mesi fa a Wembley, lo spettro del 12 novembre 2019, quando l’Italia di Ventura venne eliminata ai playoff mondiali dopo lo 0-0 con la Svezia, aleggiava sopra le teste dei giocatori, ma nessuno si aspettava un epilogo del genere, tanto che molti già pensavano alla sfida d’elite col Portogallo.
Invece la modesta Macedonia del Nord ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e ha annichilito le sortite offensive di un’Italia padrona del match, ma incapace di capitalizzare la grande mole di gioco creata. La cornice del Renzo Barbera era quelle delle grandi occasioni, tutto esaurito, perché quello che si prevedeva era una attesa di novanta minuti per una festa finale. Una formalità, insomma.
Molti analisti l’hanno definita la “sindrome della pancia piena”, l’Italia dopo l’europeo, di fatto, ha smesso di avere fame. Quello che è successo ieri è una dimostrazione che senza quella voglia di rivalsa la nazionale ha ancora dei limiti tecnici evidenti. La Macedonia del Nord, intendiamoci, ha vinto con un solo tiro in porta di piuttosto fortunoso e inaspettato, che le lunghe leve di Donnarumma non hanno potuto deviare. Lo stesso Trajkovski che, piccola beffa del destino, torna a segnare a Palermo dove ha passato quattro stagioni della sua carriera,
L’Italia ha avuto il pallino del gioco per tutto il match (61% possesso palla), anche se questo non fa che aggravare le colpe dello sterile attacco nerazzurro. La preoccupante involuzione azzurra di Immobile, capocannoniere in serie A e completamente inerte in nazionale restituisce l’immagine di un gruppo che si è inceppato, satollo di gloria della sbornia di successo post Wembley. Berardi e Insigne sono opache riproduzioni di quelli degli scorsi anni. Il tiro lento che l’attaccante del Sassuolo sbaglia a porta vuota dopo che Dimitrievski gli regala il pallone, sbagliando il rinvio, restituisce il quadro drammatico di una squadra lenta, acciaccata, ridimensionata e spenta.
Cercare un colpevole, in questo momento non è altro che controproducente. Anche se è già partita la caccia alle streghe. Gabriele Gravina, presidente della Figc, punta il dito contro i club rei di considerare “nella loro logica imprenditoriale, la nazionale come un fastidio”. Il commissario tecnico Mancini si addossa le colpe: “il responsabile sono io” dice alle telecamere dopo il tracollo, “il mio futuro? non lo so, la delusione è troppo grande”. Gli italiani non devono perdere la memoria: la stessa squadra e lo stesso allenatore ci facevano saltare sul divano solo qualche mese fa. Ci sarà tempo per dividere le colpe e ripartire, il materiale, anche guardando i giovani, c’è tutto. Ora rimane, riprendendo le parole del tecnico, solo un po’ di amarezza.