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Mal d’aria Italia, bandiera nera per l’inquinamento

di Thomas Tomassini18 Marzo 2022
18 Marzo 2022

Ciminiere in funzione | Foto Ansa

In Italia l’obiettivo zero emissioni per la mobilità urbana entro il 2030 è ancora un miraggio. Questo è quanto emerge dall’indagine di Clean Cities, la campagna di Legambiente che sostiene la mobilità attiva. L’associazione ha stilato una classifica delle città europee più pulite e dove la qualità della vita è maggiore. L’Italia, con quattro città relegate agli ultimi posti, è ancora una volta il fanalino di coda. 

Un anno fa, dopo il primo lockdown, le politiche nazionali in materia di mobilità avevano avuto una improvvisa accelerazione, andando di pari passo con l’obiettivo di limitare al massimo i contagi da Covid-19 durante gli spostamenti quotidiani. Ad oggi è però evidente una decisa inversione di tendenza: incentivi per l’acquisto di nuove auto diesel e benzina oltre l’introduzione di deroghe per il blocco degli Euro IV. Lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza non sembra rivolgere grande attenzione alla mobilità nelle città e nelle aree metropolitane, dove la densità di popolazione è maggiore. 

La sfida lanciata da Clean Cities, spiega Andrea Poggio, segretario di Legambiente, è quella di “raggiungere una mobilità sostenibile entro il 2030”. Per fare questo è necessario “dimezzare l’inquinamento – prosegue Poggio – incentivando il trasporto pubblico elettrico”. Un gap, quello tra le città italiane e le capitali europee in cima alla classifica stilata da Clean Cities, che secondo il segretario deriva “da una mobilità più efficiente e a una minor presenza di mezzi di trasporto privati”. Entrando nel dettaglio della classifica, troviamo nelle prime tre posizioni Oslo, Amsterdam e Helsinki. La prima italiana è Milano in ventesima posizione, seguono Torino (23), Roma (32) e il fanalino di coda della lista, Napoli (36).

L’inquinamento urbano ha un costo dal punto di vista della salute dei cittadini. Ed è stata l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) a stimare, sulla base delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che in Italia nel corso del 2019 ci sono stati 49.900 decessi prematuri causati dall’inquinamento da polveri sottili (Pm 2,5). Mentre il biossido d’azoto può essere ritenuto causa di 10.640 decessi, decisamente meno quelli per l’ozono, 3.170. Il 17% dei morti per inquinamento in Europa sono italiani: siamo il Paese dove si registrano più decessi causati da inalazione di biossido d’azoto (No2), il doppio degli anni di vita persi: 180 anni ogni 100mila abitanti, contro i 99 della media dell’Unione. Uno scenario fosco, che dovrebbe spingere il Paese ad evitare di incappare nel solito errore di aspettare che sia l’Unione Europea a risolvere la situazione, evitando così di essere nuovamente percepiti come ‘la pecora nera’ d’Europa.  La soluzione, sottolinea il segretario di Legambiente, sarebbe quella “di partire dalle basi che abbiamo e creare una nuova politica di sharing mobility“.

Si tratta di ridisegnare lo spazio pubblico, disincentivando l’uso delle auto e promuovendo un efficiente trasporto pubblico, combinato con la riorganizzazione dei servizi (città di prossimità, “città dei 15 minuti”). Un modello di città sostenibile che arriva da Parigi, proposto dall’urbanista franco-colombiano della Sorbona Carlos Moreno. Il progetto è stato inserito nel 2020 nel programma elettorale della sindaca parigina Anne Hidalgo e nel frattempo se n’è cominciato a parlare sempre più spesso anche in Italia. Anche se esistono varie declinazioni, la “città dei 15 minuti” è tendenzialmente un luogo in cui ciascun cittadino ha a meno di 15 minuti a piedi tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, divertirsi e lavorare. Dunque negozi, servizi ma anche il proprio posto di lavoro. Potendo così limitare il più possibile gli spostamenti. Solo ripensando le infrastrutture delle città possiamo auspicare di cambiare gli stili di vita degli abitanti, attraverso un trasporto integrato, efficiente e sempre più green.

Una città dei 15 minuti è anche uno degli obiettivi principali delle linee programmatiche del sindaco di Roma Roberto Gualtieri e della sua Giunta. Una visione di città policentrica, accessibile e sostenibile che però si sta scontrando con la dura realtà della Capitale. Una politica che “ha come obiettivo principale per il 2030 – spiega Poggio – la realizzazione di strade con limite di percorrenza a 30 km/h”. Percorsi più lenti e sicuri sui quali possono circolare anche le biciclette. Questo è necessario perché, conclude il segretario,  “le nostre città non hanno una urbanistica che consente la realizzazione di un numero importante di piste ciclabili”. 

La classifica parla chiaro, nessuna delle città italiane si avvicina alla sufficienza. A preoccupare è soprattutto la situazione in cui versa la Capitale, 32esima su 36 città prese in esame. Giovanni Zannola, presidente della Commissione mobilità del Comune di Roma, ha definito la graduatoria “impietosa, anche rispetto alle altre città italiane”. Per Zannola “la grande differenza è la vastità di Roma che in confronto alle altre capitali europee ha avuto una infrastrutturazione molto minore”. Tanta pianificazione, che molto spesso non si è tradotta in realizzazione. La soluzione, spiega il presidente, sta nel  “rafforzare il trasporto pubblico locale, disincentivando l’utilizzo di quello privato”. In questa direzione, riveste una certa importanza l’approvazione del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (Pums) che, come sottolinea Zannola, è “un punto da cui partire”. Lo step successivo sarà quello di proseguire con gli iter amministrativi per realizzare una rete che, come sottolinea il presidente, “insieme al ritorno ‘in bonis’ di Atac, connetterà la città attraverso tutti i mezzi del trasporto pubblico di Roma”. 

Per migliorare ulteriormente questo aspetto, ricorda Zannola, “è indispensabile la realizzazione della rete ciclabile. Il tema è centrare la pianificazione delle infrastrutture alla mobilità intermodale”. In sintesi serve un servizio di trasporto pubblico efficiente a tal punto da scoraggiare il cittadino a prendere il proprio mezzo per spostarsi. La rete ciclabile serve per connettere il quartiere ai centri pubblici di mobilità. “Chi usa la bici – sottolinea Zannola – in un chilometro di pista ciclabile deve avere la possibilità di prendere un qualsiasi mezzo pubblico. Attraverso una offerta variegata del servizio di trasporto pubblico”. 

Il traguardo resta quello di avere una città totalmente sostenibile con livelli di inquinamento accettabili. Per fare questo conclude Zannola: “Sono indispensabili i fondi del Pnrr e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims) che, se combinate con una velocizzazione dei processi amministrativi, consentiranno la realizzazione di numerose opere”. Una strada tutta in salita che difficilmente porterà a rispettare gli obiettivi posti per il 2030. La poca prontezza di risposta degli iter burocratici, il sovrappopolamento e l’urbanistica delle nostre città sono tutti ostacoli difficilmente superabili nel breve-medio termine. Molto, se non tutto, dipenderà dall’uso che si farà dei fondi del Pnrr, ridisegnando città più vivibili. 

 

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