L’avvocato Marisa Marraffino, esperta in reati informatici, ha chiarito a Lumsanews le responsabilità penali delle piattaforme social nel trattamento dei dati sensibili dei minori in rete.
Ha avuto a che fare con casi di bambini rimasti coinvolti in atti di cyberbullismo o adescamento sui Social?
“Sì, mi sono capitati diversi casi di minorenni adescati online oppure molestati o bersagliati da offese di loro coetanei o di sconosciuti. E’ successo con bambine di 12 o 13 anni adescate anche sui social più noti, come Instagram. La richiesta di contatto avviene in genere da persone con un profilo rassicurante. Il meccanismo è sempre lo stesso, all’inizio si gioca sulla fiducia della vittima inviando messaggi “neutri”. Quando ci si fida dell’ interlocutore iniziano i messaggi più spinti e le richieste sessualmente esplicite. A volte la vittima conosce il suo interlocutore e non c’è un profilo unico di chi adesca i minori online, a volte purtroppo si tratta anche di persone a contatto coi ragazzi. La prontezza dei genitori fa la differenza: è importante controllare il cellulare dei ragazzi, soprattutto quando sono piccoli e hanno accesso ai social o ai giochi online. Bisogna partire dal presupposto che può capitare a tutti, senza creare allarmismi ma nemmeno sottovalutando il rischio”.
Che tipo di reato costituiscono casi di questo genere?
“Ci sono vari reati che possono essere configurati: si va dall’adescamento di minorenni alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il cosiddetto revenge porn, fino alla pornografia minorile. Ad esempio l’induzione di minori al compimento di atti sessuali, anche se il contatto è “virtuale” integra il reato di pornografia minorile. Non è richiesto necessariamente il contatto fisico tra il minore e chi gli chiede il compimento di determinati atti sessuali. La nostra legge punisce severamente l’intera filiera dello sfruttamento dei minori online. Ad esempio, chi detiene il materiale pedopornografico realizzato sfruttando i minorenni incorre nel reato di detenzione di materiale pedopornografico, anche se non ha contribuito a realizzare quei contenuti. A volte sono le stesse piattaforme a segnalare download illeciti e a far avviare i procedimenti penali”.
Spetta solo ai genitori fornire ai bambini un’adeguata educazione digitale, o è responsabilità anche della scuola o altri soggetti?
“Oggi manca una formazione su questi temi anche da parte degli adulti. Se ne dovrebbe parlare a scuola e soprattutto si dovrebbe intervenire attivamente quando vengono segnalati i casi. A volte sono anche gli psicologi a segnalare i casi alla Procura minorile, ma spesso i procedimenti, anche civili e amministrativi che ne derivano, non danno luogo a un intervento duraturo e mirato nelle scuole. L’informazione legale su questi temi passa anche dalla consapevolezza di cosa sia un abuso, di come riconoscerlo e quando intervenire. I ragazzi non devono essere lasciati soli nella crescita, bisogna mettersi in ascolto da subito perché farlo quando sono adolescenti è già tardi. Un grande lavoro oggi lo stanno facendo anche le società sportive, che formano psicologi ed educatori per stare a fianco dei ragazzi. E’ un dovere di tutta la società aiutare i più piccoli a crescere, e in famiglia si dovrebbe parlare di più”.
Le piattaforme Social restano impunite a livello penale?
“Oggi le piattaforme hanno l’obbligo di rimuovere i contenuti che vengono segnalati, ma se non lo fanno rischiano in genere soltanto di dover pagare un indennizzo per ogni giorno di ritardo. Non hanno invece responsabilità penali dirette che ricadono sugli utenti”.
Tramite i social le aziende, o le stesse piattaforme, sfruttano i dati personali dei minori a scopo di profilazione commerciale. Questa pratica è regolamentata?
“La profilazione dei minorenni dovrebbe essere vietata, anche se la normativa non è chiarissima sul punto. L’interpretazione strettamente letterale del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) fa propendere per la necessità del consenso dei genitori per la profilazione dei figli minorenni, ma nella prassi diventa di difficile attuazione. La soluzione preferibile dovrebbe essere l’autoregolamentazione delle varie piattaforme che dovrebbero impedire la profilazione dei minorenni”.
Si dovrebbe vietare completamente l’uso dei Social al di sotto di una certa età?
“Il decreto legislativo 101/2018 di adeguamento del Gdpr ha già previsto che l’età minima per iscriversi a un social network debba essere di 14 anni. Anche in questo caso, però, è facile bypassare le norme e iscriversi anche se si è più piccoli. Per questo è importante che i genitori prestino attenzione alla navigazione on line dei figli. Spesso sento dire che non se la sentono di controllare i loro cellulari per ragioni di privacy. Qui la privacy non c’entra assolutamente niente, anzi per la giurisprudenza controllare lo smartphone dei figli adolescenti o preadolescenziali rientra tra i doveri genitoriali. I software di parental control a quell’età sono legittimi, anzi in diversi casi hanno evitato il peggio”.