Accoglienza e sicurezza sanitaria. Sono queste le chiavi con cui il governo italiano intende affrontare la massa di rifugiati ucraini in fuga dalle bombe russe. Si tratta di circa 6680 persone, in larga parte donne e bambini, che giungono nel nostro Paese dopo venti ore di viaggio a bordo di camion, pullman o auto. Un flusso triplicato che si intensifica di ora in ora e che secondo alcune stime potrebbe portare in Italia circa 800mila individui.
Il rischio di diffusione di una nuova variante, denunciano gli esperti, è concreto. L’Ucraina è nel pieno della quinta ondata e con un tasso di vaccinazione bassissimo: il 64% dei cittadini non ha ricevuto neanche una dose. E il governo italiano sta correndo ai ripari. Una circolare del ministero della Salute ha stabilito che gli sfollati ricevano un tampone entro 48 ore dall’arrivo e siano sottoposti a sorveglianza e profilassi anche per le altre malattie infettive. Di più: la circolare ha allertato tutte le Regioni italiane perché garantiscano tamponi e vaccini anti-covid ai rifugiati.
Ma non mancano i problemi. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha dichiarato che occorre riattivare i centri vaccinali, aggiungendo tuttavia che “non tutti gli ucraini si sono registrati al loro arrivo”. C’è poi polemica per la scelta di non rendere obbligatorio il super green pass ai rifugiati.
Più compatta è la risposta sul fronte dell’accoglienza. La maggior parte degli sfollati si sta dirigendo a casa di parenti e amici ucraini che nel nostro Paese costituiscono una folta comunità di quasi 240mila individui. Il Viminale, al momento, ha predisposto un piano per 16mila posti nelle strutture destinate ai migranti, 13mila nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e 3.000 nella rete Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni, ha detto che l’accoglienza sarà una competenza condivisa ipotizzando che “i governatori delle Regioni siano commissari per l’accoglienza”.