Sulle parole del Capo dello Stato che ha avvertito del pericolo dei “poteri economici sovranazionali che tendono a imporsi, aggirando il processo democratico”, ha parlato a Lumsanews il politologo Lorenzo Castellani, docente di Storia delle Istituzioni politiche all’università Luiss di Roma.
Sergio Mattarella con le sue parole si riferiva alle Big Tech?
“Potrebbe essere, ma potrebbe anche essere altro. Magari il riferimento è ad altri casi, soprattutto nel mondo della finanza, o ad attori stranieri che hanno interesse nelle acquisizioni di banche o enti italiani. Sono molti i fronti aperti sulle questioni del capitalismo internazionale o del capitalismo politico legato ad altri Stati che possono attaccare assetti italiani. La questione Big Tech non è tanto minacciosa per l’Italia in sé, è complessa e va risolta a livello europeo”.
Qual è il rapporto tra le Big Tech e gli Stati Uniti?
“Le Big Tech sono aziende globali, oligopolistiche, hanno un forte rapporto con il paese di provenienza e quindi con gli Stati Uniti. C’è collaborazione osmotica con l’amministrazione americana (anche se ci sono state frizioni). La questione si inserisce in un rapporto più ampio tra gli Usa e gli Stati europei. Le Big Tech sono uno strumento di forza e non di debolezza per Washington. Un accordo sui dati tra l’Ue e le Big Tech deve essere un accordo anche con gli Stati Uniti. La storia insegna come gli Usa abbiano usato i loro colossi come braccio esterno per gestire le questioni diplomatiche. Un esempio su tutti, J.P. Morgan utilizzata per fare prestiti alle economie europee. L’osmosi tra pubblico e privato negli Usa è molto forte”.
La politica, però, non riesce a gestirle…
“La questione delle Big Tech anche negli Usa non è stata regolamentata, sia sul fronte informazione e libertà d’espressione, sia sulla governance e nel valutare spezzatini contro l’oligopolio o tracciare limiti di cosa possono fare queste grandi aziende. In Europa c’è lo stesso problema. Sia sulle tassazioni, visto che sono aziende di fatto straniere, sia sul fronte dei dati”.
A partire dal caso del ban di Trump, ci si è accorti dell’immenso potere di queste società…
“Che tutti i grandi patron dei media abbiano cercato di portare avanti una loro agenda politica o di convenienza, è nell’ordine delle cose. Non deve scandalizzarsi. Il problema delle Big Tech è che sono o monopoli o oligopoli, le cui formule di successo – gli algoritmi – sono coperte da segreto industriale e che guadagnano sfruttando i dati prodotti dalle persone, non dal lavoro. Particolarità che le rendono difficili da scorporare. Il potere di Twitter e Facebook è enorme. Se decido di silenziare una parte politica, un politico o ho deciso che bisogna usare un determinato linguaggio, sto esercitando un potere di polizia, privato magari, ma che ha un impatto pubblico enorme”.
E come potrebbero essere regolamentate?
“Il dubbio è questo: sono piattaforme neutre su cui può accadere di tutto e su cui i cittadini possono scambiare info come vogliono, oppure sono delle piattaforme editoriali, quindi accessibili solo ad ospiti “invitati? Bisognerà fargli accettare una delle due opzioni. Se sono editori, un domani potranno nascerne altre, se sono neutre devono rispettare la neutralità. Per gli editori poi ci sarebbe la responsabilità penale. È una questione molto complicata, ma continuare così sarà sempre più difficile. Adesso è una cosa che va bene a chi ha il potere: la scure dei social si abbatte su gruppi per lo più minoritari, e quindi non è un problema soprattutto per il mondo progressista che è rilevante nei media, nella politica, nelle accademie. Ma il vento può cambiare, possono cambiare destra e sinistra nelle loro posizioni e possono cambiare anche i vari social network a seconda dei loro interessi. È un problema che inizia a interessare tutti, non solo Trump. Bisogna capire come gestire lo spazio pubblico, se sono una piazza o un club esclusivo”.
Gli Stati Uniti potranno rompere questo dominio?
“Gli Usa hanno sempre avuto oligopoli e monopoli molto influenti. Non penso che possano produrre un movimento tale da annientare le Big Tech. Quello che si può fare è arrivare a un patto: o siete editori o allentate la vostra morsa politica. Oppure si può tentare la via della governance: non permettere più a Zuckerberg di essere padrone di Facebook, Instagram e Whatsapp, costringerlo a cedere dei pezzi o a non costruire una società unica che progetti il metaverso. Non è facile perché il rischio dello spezzettamento è che poi queste società cambino governance e azionisti, che possano perdere in competitività, che possano subire la concorrenza cinese. Mi sembra difficile prevedere cose distruttive verso questi monopoli, forse si può arrivare a una sorta di regolamentazione delle attività ma senza eccessivi traumi perché servono al potere americano. Non dobbiamo pensare al potere americano come un potere nettamente diviso tra pubblico e privato. L’élite finanziaria ed economica sono sempre andate a braccetto con quelle politiche”.