L’introspezione appassionata dei vinti dalla vita, la narrazione terrosa e salina della quotidianità di quegli italiani che non si sentivano “superuomini”. Poi ancora quello sguardo verista, pietoso ma sconsolato sui suoi personaggi appesantiti, ma modernamente fiducioso nella rivalsa del suo Meridione. Sono questi i regali con cui il talento di Giovanni Verga omaggia ancora oggi la contemporaneità, a cento anni dalla sua morte, avvenuta il 27 gennaio del 1922 a Catania, dove era anche nato.
Per l’occasione del centenario verghiano, grazie alla casa editrice Interlinea e alla Fondazione Verga, con il sostegno del ministero della Cultura, escono nuovi titoli in volume e in digitale dell’Edizione Nazionale delle sue opere, con appendici ricche di notizie, documenti, varianti e indici, mentre si annuncia un progetto sull’epistolario. A Catania si lavora alla messinscena di suoi testi e a un nuovo allestimento dell’opera ”Cavalleria rusticana” di Mascagni, nata da un suo racconto.
Tra il 1881 e il 1889 Verga scrisse i suoi due romanzi più importanti: ”I Malavoglia” e ”Mastro don Gesualdo”. Lo scrittore tenta di cogliere l’essenza elementare, primitiva e naturale di una realtà non condizionata dai rapporti fatti di convenienze e apparenze. La novità è nell’oggettività della narrazione che pare vivere dei personaggi e della loro esistenza, come se il narratore si fosse fatto da parte annullandosi davanti alle sue creature. Il tutto reso con un linguaggio scabro e spoglio, ritmato con una cadenza da parlata locale, ma non dialettale, in cui si evidenzia il parlato elementare come specchio della verità del vissuto. Negli ultimi quindici anni della sua vita, fino al 1922, anno della morte, Verga si ritirò nella sua Catania, scrivendo molto poco e senza pubblicare più nulla.