Le impronte di decine di migliaia di scarponi militari in marcia. La scia di mezzi corazzati vicino al confine tra Ucraina e Russia. La notizia trapelata dai servizi segreti americani, e pubblicata dal Washington Post il 3 dicembre, sul dispiegamento di 175 mila soldati di Mosca nei pressi della frontiera ucraina pronti a un blitz militare, ha scosso l’Occidente e rievocato il timore di una guerra in Europa. Secondo quanto riportato dal giornale americano, l’offensiva potrebbe cominciare già nel mese di gennaio 2022 con l’utilizzo di 100 battaglioni dei gruppi tattici. Ma davvero si arriverà a un intervento armato?
“Non si può escludere in un secondo momento, ma non adesso o nei prossimi mesi”, sostiene Orietta Moscatelli, analista di Limes. Anche Gabriele Natalizia, docente di International Relations all’Università Sapienza di Roma e coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info, non lo ritiene imminente, nonostante “la presenza di unità tattiche da combattimento e l’arrivo di unità mediche e di ospedali di campo che potrebbero far pensare a un intervento militare. Nel caso – aggiunge Natalizia – potrebbe essere un’azione simile a quella avviata in Georgia nel 2008 o in Crimea nel 2014, che punta a mangiare piccole porzioni di territorio e non alla conquista totale dell’Ucraina”. Tra l’altro, di solito, un’operazione armata sfrutta un effetto sorpresa che in questo caso non ci sarebbe.
Ma allora perché ammassare un così largo numero di truppe, facilmente rintracciabili da satelliti e dai servizi di intelligence?
I motivi sono molteplici. Si è parlato molto di “linee rosse”, ovvero di quei punti fermi o quegli interessi strategici russi che Vladimir Putin vuole cercare di imporre all’Alleanza Atlantica e soprattutto agli Stati Uniti. Mosca non vuole che le repubbliche ex sovietiche finiscano nell’orbita euro-statunitense. Rappresentano, infatti, quella zona “cuscinetto” di fondamentale importanza per la difesa del territorio russo. Come spiega Natalizia, l’obiettivo del Cremlino è testare sia le proprie capacità militari sia le intenzioni della Nato.
Inoltre, la Federazione Russa vuole verificare il polso dell’amministrazione di Joe Biden. Gli Usa sono concentrati sempre più nella contesa con la Cina e Putin sa di poter sfruttare questa situazione a proprio vantaggio, continua l’esperto: “La Russia, in cambio di un’imparzialità rispetto alla competizione tra Pechino e Washington, potrebbe chiedere alla Casa Bianca il riconoscimento della sua egemonia nello spazio post sovietico”. Ucraina in primis. Per questo, secondo Moscatelli “la richiesta russa sarà sempre quella di arrivare ad accordi per nuove regole di adesione alla Nato”.
D’altronde l’occhio degli Stati Uniti, oggi, non guarda con troppa attenzione al fronte est-europeo, come dimostrato dalle minacce di sanzioni economiche in caso di azioni troppo assertive da parte della Russia. Dure ripercussioni a livello finanziario magari, ma nessuna risposta armata. Lo stesso discorso vale per l’Unione europea, che con la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha paventato l’ipotesi di gravi conseguenze economiche. Come chiarisce Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato, “se per qualche ragione l’Occidente decidesse di intervenire militarmente si metterebbe dalla parte del torto a livello di diritto internazionale”. Questo perché l’Ucraina non fa parte né della Nato, né tantomeno dell’Ue.
Kiev è cosciente della sua particolare posizione geopolitica. Il presidente Volodymyr Zelensky è in grosse difficoltà, conferma Moscatelli: “Si ritrova ad aver puntato sulla prospettiva della guerra e sulla stretta alleanza con gli Usa. Ora però l’assistenza americana si delinea in maniera cauta e per lui le cose si mettono male”. La maggioranza della popolazione ucraina è ostile alla Russia, a eccezione delle aree dove è forte la presenza delle fazioni separatiste filorusse, e spinge per l’adesione all’Alleanza Atlantica.
Ma sono due gli ostacoli, quasi insormontabili, che fanno slittare l’ingresso nella Nato: l’occupazione di alcuni suoi territori (Crimea e Donbass) da parte della Russia e i parametri socio-economici necessari per entrare nell’Alleanza. Nel momento di un’eventuale adesione alla Nato, l’Ucraina infatti potrebbe richiedere l’attivazione dell’articolo 5, quello che obbliga i Paesi membri a difendersi a vicenda da un’azione ostile esterna, avendo truppe straniere all’interno dei propri confini. E, secondo Alli, “è l’ultimo dei problemi che la Nato vuole avere ora. Inoltre Kiev è indietro nel processo di riforme che viene richiesto per l’ingresso”. Quei parametri di lotta alla corruzione, rispetto dei diritti umani, equilibrio dei poteri su cui l’Ucraina ancora fatica.
Intanto l’Europa, o almeno i Paesi principali – tra cui Francia, Germania, Regno Unito e Italia – si sono mossi insieme agli Stati Uniti, anche in occasione del vertice virtuale tra Biden e Putin dello scorso 7 dicembre. Se da una parte hanno evocato la possibilità di sanzioni dure, dall’altra “hanno segnalato che l’Europa non può continuare a seguire linee sanzionatorie che vanno a ledere direttamente i propri interessi finanziari e strategici”, spiega Moscatelli. In ballo c’è il gasdotto NordStream2, appena concluso ma non ancora in funzione per intoppi burocratici. Un’infrastruttura voluta sia dalla Germania che dalla Russia, che aggira l’Ucraina per trasportare il gas in Europa.
Infine il capitolo delle conseguenze per l’Italia. Anzitutto già si manifesta un malcontento del Nord produttivo su eventuali sanzioni che avrebbero effetto su un’imprenditoria , fortemente integrata nel mercato europeo. Ma c’è un secondo risvolto possibile per Roma, nell’ambito delle trattative tra Mosca e Washington. Nei prossimi mesi si elegge il nuovo segretario generale della Nato e una figura proveniente da Paesi dell’Est-Europa o da nazioni più ostili a Mosca potrebbe rendere difficili le trattative con la Russia. “Per questo – conclude Natalizia – potrebbe guadagnare di sostanza una candidatura italiana, in un momento in cui l’Italia gode di una buona immagine presso la Casa Bianca”.