Patrick Zaki sarà scarcerato. Ma non assolto. Dopo ventidue mesi chiuso nel carcere del Cairo senza sentenza, il ricercatore dell’Università di Bologna potrebbe lasciare la sua cella già da oggi. Nel Palazzo di Giustizia egiziano di Mansura, urla di felicità, abbracci e commozione sono scattati all’annuncio della sentenza da parte del giudice. Una gioia a metà, però. “Uscirà ma non è stato assolto”, hanno riferito all’Ansa i legali del giovane al termine della terza udienza del processo. Resta in piedi infatti l’accusa di “diffusione di notizie false a danno dello Stato” e la prossima udienza è già stata fissata per il primo febbraio. “Abbiamo appreso che la decisione è la rimessa in libertà ma non abbiamo altri dettagli al momento”, ha spiegato l’avvocato Hoda Nasrallah. Zaki, però, da quanto emerge, non avrà l’obbligo di firma.
Una notizia tanto attesa, che non soddisfa del tutto il pool della difesa, la famiglia di Zaki, e gli attivisti per i diritti umani che hanno seguito la vicenda. “Un enorme sospiro di sollievo – ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, – e speriamo che questo sia il primo passo per arrivare poi ad un provvedimento di assoluzione”. Soddisfazione anche da parte del mondo politico. “Uno spiraglio, la luce finalmente”, ha scritto su Twitter il segretario del Pd, Enrico Letta. Per l’europarlamentare del M5s, Sabrina Pignedoli, “il prossimo obiettivo sarà abbracciare Patrick da uomo libero in Italia”.
Vestito bianco, codino e occhiali scuri. Così si è presentato Patrick Zaki all’udienza decisiva del processo a suo carico. “Sto bene, grazie Italia”, aveva assicurato il giovane ai diplomatici italiani presenti, da dentro la gabbia degli imputati. Ma la seduta nel Palazzo di Giustizia egiziano di Mansura è durata appena quattro minuti. La legale di Zaki, Hoda Nasrallah, ne ha chiesto la sospensione al giudice, per poter acquisire altri atti utili al processo. Si tratta delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza nell’aeroporto del Cairo, di verbali redatti da agenti di sicurezza e dichiarazioni di testimoni. Tutto materiale che servirebbe agli avvocati della difesa per dimostrare la presunta illegalità dell’arresto del ricercatore nel febbraio 2020 e la correttezza dell’articolo sui copti alla base del processo.