Aung San Suu Kyi è stata condannata a quattro anni di prigione da un tribunale di Naypyidaw, la capitale del Myanmar. La leader politica birmana era agli arresti domiciliari dopo il colpo di Stato dello scorso febbraio compiuto dai militari. La donna, vincitrice di un Nobel per la Pace nel 1991, dovrà scontare due anni di carcere per incitamento al dissenso contro i militari e altri due per aver violato le misure anti Covid durante la campagna elettorale. Insieme a lei è stato condannato con le stesse accuse anche l’ex presidente birmano Win Myint. Per il momento però, ha fatto sapere il portavoce della giunta Zaw Min Tun, i due ex leader non saranno trasferiti in carcere.
Questa sentenza riguarda soltanto una parte del processo in cui è imputata Suu Kyi e solo una parte delle accuse che le sono state rivolte: i giudici devono ancora esprimersi sui reati di corruzione, violazione del segreto di Stato e della legge sulle telecomunicazioni. I capi d’accusa sono più di dieci e l’attivista per i diritti umani rischia una condanna a oltre 100 anni di carcere. Non è chiaro dove e in che condizioni Suu Kyi, che ha 76 anni, dovrà scontare la pena. Alla leader non è consentito comunicare con il mondo esterno da quando è stata arrestata e le notizie su di lei sono scarsissime. Anche le informazioni sul processo sono state molto limitate: la giunta militare, tra le altre cose, ha vietato agli avvocati di Suu Kyi di parlare con i media e a tutta la stampa di seguire i processi.
Dopo il golpe di febbraio organizzato dal capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, per mesi le persone sono scese nelle piazze di varie città del Paese per protestare e chiedere il ripristino del governo eletto. Secondo l’associazione non governativa Assistance association for political prisoners, fino a oggi sono state arrestate 10.600 persone per reati politici e 1.303 sono state uccise negli scontri e durante la repressione che ne è seguita.