Fabio Lugoboni è il direttore responsabile dell’Unità Medicina delle Dipendenze del Policlinico Borgo Roma di Verona. Con lui abbiamo analizzato il fenomeno dell’abuso di benzodiazepine tra la popolazione italiana, che in molti casi rischia di originare una forte dipendenza.
Secondo l’Oms negli ultimi anni si è assistito a un aumento delle cure farmacologiche contro ansia e depressione. Perché e quali fattori hanno contribuito? Quanto ha influito la pandemia?
“Sosteniamo una vita più stressante rispetto a dieci anni fa e la risposta di fronte a queste situazioni solitamente è di tipo “on-off”, nel senso che se facciamo fatica a fare qualcosa o avvertiamo ansia immediatamente prendiamo un farmaco per risolvere il problema. Non mettiamo in discussione il nostro stile di vita o andiamo in psicoterapia. Possiamo anche farlo ma principalmente optiamo per un approccio “on-off”. La pandemia poi ha contribuito in maniera drammatica a questo aumento. In particolar modo sono aumentati i problemi di ansia e di sonno”.
Quando si diventa dipendenti dai farmaci antidepressivi?
“Non è riconosciuta da tutti allo stesso modo. È dimostrato che alcuni farmaci antidepressivi hanno provocato una sindrome da sospensione, ovvero quando vengono sospesi dopo tanti mesi di assunzione possono avere conseguenze negative, il cosiddetto effetto “rebound”, e per ridurne le dosi è richiesto più tempo. Diverso invece è il discorso per le benzodiazepine, per cui la crisi di astinenza può essere più grave”.
È vero che l’uso prolungato delle benzodiazepine rappresenta un fattore di rischio per la dipendenza?
“Assolutamente sì. Infatti a differenza di altri antidepressivi si raccomanda di non superare le quattro settimane di assunzione continua, perché prolungando questo tempo il rischio di sviluppare dipendenza cresce di molto e soprattutto non si può sapere in anticipo come il paziente reagirà. In questo poi si inseriscono molte volte fattori genetici e ci sono persone che diventano dipendenti in tempi brevi e altre che lo diventano in tempi più lunghi. Solitamente la probabilità di diventare dipendenti varia dal 15 all’80 per cento se un paziente le assume per oltre tre mesi”.
In questi casi le benzodiazepine che effetti hanno sul paziente?
“Si verificano principalmente due aspetti: dipendenza, ovvero si è costretti a continuare ad assumerle perché se vengono sospese si sta male, e assuefazione, cioè col tempo è necessario aumentare le dosi perché quelle iniziali non fanno più effetto. In Italia assume regolarmente benzodiazepine circa il 15 per cento della popolazione, un numero enorme. Di queste il 2 per cento, pari a circa 100.000 soggetti tra coloro che ne fanno uso saltuariamente e chi invece le assume tutti i giorni, sviluppa tolleranza, ovvero la necessità di aumentare le dosi anche oltre quelle massime consentite. In sostanza la tolleranza è una complicazione della semplice dipendenza”.
Il paziente che inizia un percorso di riduzione o sospensione dei farmaci a cosa va incontro?
“Ci possono essere due scenari diversi. Se parliamo di antidepressivi ci dovrebbe essere uno psichiatra o un medico esperto che valuti i pro e i contro di una sospensione della terapia. Nel caso delle benzodiazepine invece eliminarle potrebbe essere addirittura pericoloso, quindi bisogna farlo in maniera oculata. L’eliminazione può portare infatti ad un’esacerbazione dell’ansia, una grave insonnia, contratture muscolari, alterazioni della vista, fischi alle orecchie ma la cosa peggiore sono le crisi convulsive. Più si assumono benzodiazepine più il rischio di convulsioni può essere significativo”.