È iniziato questa mattina, dinanzi all’Alta Corte di Londra, il processo d’appello sull’estradizione negli Stati Uniti del cofondatore australiano di WikiLeaks, Julian Assange. Il ricorso era stato presentato dalle autorità di Washington contro la decisione di primo grado con cui la giustizia britannica aveva negato, nel gennaio scorso, il trasferimento.
Il 50enne australiano è detenuto ormai da due anni nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh in attesa di una decisione, pur non avendo più alcuna pendenza penale nel Regno Unito, dopo aver trascorso 7 anni da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra da cui è stato allontanato dietro pressioni americane.
Se estradato, Assange rischia una pena fino a 175 anni negli Usa, dove gli si dà la caccia da oltre 10 anni per aver diffuso fin dal 2010 con WikiLeaks alcuni documenti segreti pubblicate su alcune delle più prestigiose testate giornalistiche del mondo. Documenti fra i quali spiccano anche i file del Pentagono trafugati dall’ex militare Chelsea Manning contenenti rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq.
In agenda sono previste due udienze, una oggi e una domani, mentre per il verdetto finale ci potrebbero volere diverse settimane se non mesi, fino a un termine massimo che, secondo i media, sarebbe Natale o i primi di gennaio.
I legali di Assange hanno sempre respinto le accuse, soprattutto dopo le ultime rivelazioni emerse a settembre secondo cui la Cia nel 2017, sotto l’amministrazione Trump, aveva studiato un piano per rapire e assassinate Assange durante la sua permanenza nella sede diplomatica ecuadoriana.
Questa mattina, fuori dall’aula si sono riuniti diversi attivisti per chiedere che il cofondatore di WikiLeaks non venga estradato oltre Oceano. Già nel fine settimana diverse centinaia di persone avevano sfilato per le strade di Londra in vista dell’udienza di oggi.