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Diritti tv, la guerra miliardaria del calcio

di Paolo Consolini25 Ottobre 2021
25 Ottobre 2021

Una telecamera nello stadio Meazza di Milano, in una foto d'archivio | Foto Ansa

Dopo quasi trent’anni il calcio italiano ha traslocato. Il 26 maggio 2021 Sky ha detto addio alla serie A. Non accadeva dal 2003, quando il colosso inglese era nato dalla fusione di Stream e Tele+, che aveva trasmesso il campionato nel decennio precedente. È la fine di un ciclo.

A essersi insediata sul trono è Dazn, pay-tv britannica nata nel luglio 2015, che trasmette via streaming, abbattendo i costi e raggiungendo un pubblico in continua evoluzione. Finanziata dal miliardario Len Blavatnik, statunitense nato in Ucraina, a marzo si è aggiudicata i diritti tv del campionato per il triennio 2021/2024, per 840 milioni di euro a stagione.

Ma perché Sky Italia ha rinunciato al grande calcio? Pesa il difficile momento economico che vive l’emittente, aggravato dalla pandemia. Il 2020 si è chiuso con un rosso da ben 690 milioni di euro e un calo del fatturato dell’11%. Alla base della rinuncia vi sarebbero quindi perdite che incidono più delle strategie imprenditoriali.

Una tesi sostenuta a Lumsanews da Marco Bellinazzo, opinionista del Sole 24 Ore: “Credo che l’acquisto di altri diritti, come la C di calcio e la pallavolo femminile, rappresenti la conseguenza dell’esito dell’asta sulla A. Sky voleva mantenere i diritti ma non si aspettava un’offerta così alta da parte di Dazn, supportata da Tim”. Non a caso, a inizio giugno, per cercare di limitare i danni, ha rilanciato mettendo sul piatto 500 milioni per trasmettere tutti i match in co-esclusiva, ma la proposta è stata rifiutata. 

Dazn si è appoggiata a Tim, che vanta una vasta clientela e un’infrastruttura interessata da corposi investimenti. La partnership ha superato anche la scure dell’Antitrust, che a luglio ha aperto un’istruttoria per verificare se l’intesa potesse penalizzare eccessivamente la concorrenza, ma poi ha dato il via libera all’accordo.

La contesa sembrava chiusa, ma la partita si è riaccesa con l’inizio del campionato. Dazn ha dovuto ammettere numerosi disservizi, rimborsando il primo mese agli abbonati scontenti, e il confronto con la qualità garantita da Sky sembra impietoso. I problemi di connessione continuano a far spazientire milioni di spettatori e anche gli ascolti, che verrebbero gonfiati fino al 50% rispetto alle stime ufficiali, rappresentano un caso. 

Scenari smentiti dall’azienda in una nota stampa il 19 ottobre: “Il mercato sta dando fiducia alla nostra offerta, registrando un incremento dell’audience di oltre il 10% rispetto alla stagione 2019/2020”. Ma mancano, e non è un dettaglio, i valori assoluti. 

In attesa che Dazn e TimVision forniscano dati certi, invocati anche da club e pubblicitari, Auditel stima invece una perdita di circa 600.000 abbonati per Sky, che ora trasmette solo tre gare su dieci. Un’analisi sommaria ma efficace, che confronta lo stesso match trasmesso a canale e orario invariato, otto mesi dopo.

Il 22 settembre la Commissione Telecomunicazioni della Camera in una risoluzione ha invitato il Governo a dare più poteri ad Agcom per controllare e intervenire su qualità del servizio di trasmissione in streaming e misurazioni dell’ascolto. Il 7 ottobre l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha avviato un procedimento. Un ultimatum di trenta giorni, entro i quali Dazn dovrà “adottare comportamenti rispettosi dei diritti degli utenti e accorgimenti funzionali a prevenire i malfunzionamenti della piattaforma”.

Il problema è che l’Agcom attualmente non può multare Dazn, che opera solo su internet. L’emittente non ha richiesto un’autorizzazione ministeriale e di fatto non è sottoposta alle regole che governano il settore. I poteri sembrano quindi limitati, come ci conferma con franchezza il funzionario Francesco Di Giorgi: “Più che a una vera e propria norma siamo di fronte a un auspicio della Commissione e quindi non possiamo fare molto. Ma se un emendamento cambierà lo stato dell’arte l’Agcom interverrà subito”.

Bellinazzo sostiene che “una revisione della licenza è molto difficile da immaginare e potrebbe arrivare soltanto di fronte a inadempimenti ancora più gravi”. Più probabile una soluzione tampone, già percorsa in passato. L’imposizione a Dazn di trasmettere anche sul digitale terrestre, più affidabile rispetto alle connessioni via internet in un Paese ancora segnato da digital divide e reti ballerine, è un’ipotesi che sta prendendo corpo.

Anche il giornalista di Ansa e Tuttosport, Simone Di Stefano, sottolinea come “essendo di fronte a un contratto tra due enti privati, appare improbabile un intervento diretto del governo. Clausole e penali rendono la revoca molto complessa”.

L’esperimento Dazn, al netto dei disservizi, evidenzia come il futuro sia sempre più distante dalla tv via cavo. Amazon e Netflix, che già trasmettono parte della Champions e i campionati inglese e francese, sembrano destinate a conquistare il settore. Gli scenari per i broadcaster tradizionali non sono rosei. Secondo Di Stefano “per sopravvivere dovranno ripensare le loro strategie e sfruttare le occasioni messe a disposizione dal mercato. Sky potrebbe puntare tutto sulle Olimpiadi di Parigi 2024 ma rischia di diventare un canale “all sports” a tutti gli effetti, con meno calcio”.

Probabilmente il prodotto dovrà adeguarsi alle rinnovate esigenze dei fruitori. Lo sottolinea Marcel Vulpis, ex direttore del portale Sport Economy e vicepresidente di Lega Pro: “Credo che il mercato debba andare verso i bisogni moderni. I più giovani stanno manifestando l’incapacità di restare 90 minuti collegati a uno schermo. Le Leghe dovrebbero cambiare le modalità di fruizione e distribuzione. Il contenuto rimane la partita ma bisogna fare in modo che sia spacchettato in modo differente in base al target a cui ci si sta rivolgendo: un tifoso di 60 anni ha esigenze diverse da un ragazzo di 15”.

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