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“Serve autoregolamentazione
sulle grandi piattaforme
per la tutela dei minori”

Donatella Pacelli a LumsaNews

“Giovani soli davanti alle tecnologie”

di Alessio Brandimarte21 Ottobre 2021
21 Ottobre 2021

Il blackout che ha coinvolto i social media lo scorso 4 ottobre ha fatto tornare in auge il tema della dipendenza dei minori dai social. LumsaNews ha intervistato la presidente del Comitato ministeriale “Media e minori” del Ministero dello Sviluppo economico, Donatella Pacelli, riguardo alle conseguenze sociali di questo fenomeno.

I blackout dei social media in un mondo iperconnesso stanno facendo emergere una crisi di astinenza delle nuove generazioni? 

“È riduttivo pensarla come una crisi di astinenza. L’ essere iperconnessi è paradigmatico rispetto al bisogno che abbiamo di controllare realtà di fatto ingestibili. La modernità ha consegnato all’uomo l’illusione di poter vigilare su tutto e tutti. Sembra che non possiamo rinunciare ad avere delle risposte immediate nella gestione delle relazioni e di quanto accade in tempo reale. Gli psicologi parlano di ‘paura del vuoto’, in termini sia di non conoscenza di quello che sta accadendo, sia di mancanza di vita relazionale. Questo presenzialismo e controllo assoluto è una povertà antropologica di cui i grandi mercati delle piattaforme online faranno tesoro”. 

La sicurezza degli utenti è stata effettivamente scavalcata dalla logica dei profitti? Come si può intervenire per contrastare questa tendenza?

“Questa è un’evidenza empirica. Serve un’autoregolamentazione sulle grandi piattaforme ma non c’è nessuno che si impegni a far innalzare la soglia di controllo dell’età. Dopo la tragedia di quest’inverno di Tik Tok (ndr: due bambini morti soffocati per una challenge diventata virale), c’è stato un grande sforzo  da parte dell’Autorità garante per l’infanzia e di quella per la comunicazione, ma la normativa europea e quella nazionale non si sono ancora adeguate”. 

I social network sono i veri responsabili della dipendenza dei giovani dalle nuove tecnologie?

“Non c’è fenomeno o problema sociale che non abbia correlazioni con il mondo offline. Abbiamo visto una progressiva rincorsa a gettare le responsabilità su altri piani. Non c’è una linea di demarcazione tra l’esperienza online e quella offline. Se un minore si chiude nel rapporto con i propri tablet o smartphone, probabilmente è dovuto non solo all’attrattività strumentale, ma anche al vuoto relazionale che si è creato nella vita vera. Stiamo attenti a mettere solo i media sul banco degli imputati. Abbiamo lasciato i giovani soli davanti alle nuove tecnologie, illudendoci di pensare che l’abilità tecnologica fosse accompagnata da una consapevolezza. Fenomeni come il cyberbullismo o il sexting ci fanno capire che  i ragazzi non hanno la percezione del danno che possono subire”.

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