Lorenzo Monfregola è un giornalista freelance italo-tedesco. Vive a Berlino e si occupa principalmente di Germania, politica e geopolitica. Partendo dall’analisi degli attuali scenari politici, a pochi giorni dal voto, ci ha aiutato a capire quali potrebbero essere le future coalizioni nell’imminente nuovo governo tedesco e in che modo queste, una volta insediatesi al Bundestag, sapranno rapportarsi con l’Europa e con il resto del mondo.
I recenti sondaggi danno il partito di Olaf Scholz in forte ascesa, mentre quello di Armin Laschet in discesa. Perché questa grande sfiducia nei confronti del partito di Angela Merkel?
“Si sapeva che la Cdu avrebbe potuto avere difficoltà nel dopo Merkel. Questo è fisiologico in passaggi epocali del genere. Il fallimento del passaggio di consegne dalla Kanzlerin alla sua ex delfina Annegret Kramp-Karrenbauer preannunciava già difficoltà specifiche. L’elezione interna alla Cdu del poco carismatico Laschet come Presidente e la successiva scelta forzata di candidarlo Cancelliere hanno probabilmente peggiorato le cose. Nessuno si aspettava però una caduta del genere negli ultimi mesi. Laschet ha fatto errori di comunicazione rilevanti, che hanno poi compattato una certa stanchezza dei tedeschi rispetto all’egemonia di potere cristiano-democratica. La verità è che per anni i tedeschi hanno votato Angela Merkel, non il suo partito. La Cdu non ha mai davvero superato questa contraddizione e ora rischia di pagarne le conseguenze, venendo potenzialmente erosa a sinistra dalla Spd e a destra dai liberal-liberisti di Fdp. Questo vale sempre a patto che i sondaggi vengano poi confermati. Scholz sta approfittando degli errori degli ultimi mesi di Laschet e della verde Baerbock”.
Se i risultati delle elezioni dovessero confermare il declino della Cdu quali saranno le prospettive post- elezioni per i cristiano democratici?
“Se la Cdu non sarà più il primo partito, dovrà decidere se entrare come forza di minoranza in una coalizione di governo o cercare di ricostruirsi e rinnovarsi andando all’opposizione. In caso di disfatta, l’opposizione sarebbe la scelta migliore. Ma in Germania i partiti più tradizionali sono spesso anche condizionati da una forte responsabilità istituzionale. Se dovesse esserci il pericolo di instabilità, la Cdu potrebbe comunque scegliere di farsi socio di minoranza in un nuovo esecutivo. In un modo o nell’altro, finita l’era Merkel, la Cdu dovrà ugualmente chiedersi cosa significhi oggi essere cristiano-democratici. Il partito, svuotato del merkelismo, sta infatti già vivendo una crisi d’identità politica”.
Se l’Spd avesse davvero un grande successo elettorale potrebbe rompere la Grosse Koalition?
“Partiamo dal fatto che fino a due mesi fa tutti pensavano che la Grosse Koalition fosse un’opzione impossibile. Già nel 2017-2018 la Spd la formò estremamente controvoglia, e solo perché mossa dalla sopra citata responsabilità istituzionale. Nessuno si sogna di parlare di Grosse adesso, perché è una formula che tutti vorrebbero simbolicamente superare. Ma se alla fine Spd e Cdu-Csu dovessero trovarsi prime e/o seconde e con voti a sufficienza, l’interrogativo sulla GroKo potrebbe addirittura tornare attuale. Una vittoria socialdemocratica potrebbe però soprattutto aprire a una coalizione “Deutschland” Spd-Cdu-Fdp, così come alle altre coalizioni in ballo: la “Ampel” (semaforo) Spd – Verdi – Fdp o la “Kenya”, Spd – Cdu – Verdi”.
Quali scenari potrebbero palesarsi?
“La frammentazione del voto e il sistema elettorale tedesco favoriscono molteplici opzioni. Ovviamente, se dovessero bastare i numeri, sarebbe possibile (ma poco probabile) anche la coalizione di sinistra Spd-Verdi-Linke, cioè l’opzione che attualmente la Cdu sta usando per attaccare con sempre più decisione Olaf Scholz, accusandolo di voler portare un governo troppo di sinistra a Berlino. La verità è piuttosto un’altra: Scholz ha sì un programma di sinistra, ma proprio per questo attrae molti elettori che durante la crisi Covid si sono convinti del fatto che la Germania abbia bisogno di una nuova stagione di investimenti sociali”.
Il nuovo cancelliere sarà comunque una figura più debole di Angela Merkel a livello carismatico. Questo potrebbe favorire in Europa un ruolo maggiore di Macron/Draghi e quindi dell’asse Francia-Italia?
“Angela Merkel è stata una figura talmente particolare che è impossibile sostituirla con l’imitazione. I tre maggiori candidati tedeschi stanno cercando di presentarsi come i migliori eredi di Merkel, ma la verità è che solo Merkel può essere merkeliana. Ci vuole ad esempio tutta la sua “intelligenza” politica per tergiversare a lungo su una decisione o cambiare più volte opinione e, al tempo stesso, trasmettere ugualmente un’idea di estrema autorevolezza, efficacia e capacità di management. Qualsiasi altro politico risulterebbe poco credibile muovendosi in questo modo. Quindi sì, sul piano europeo si apriranno nuovi spazi, perché Merkel lascerà un vuoto anche nell’Ue. Se Macron verrà rieletto in Francia, tenterà sicuramente di posizionarsi come leader primario in Europa e potrebbe trovare una buona sponda proprio con un cancellierato Scholz in Germania. Per quanto riguarda Draghi, il suo alto credito internazionale è più che noto. Sicuramente per il premier italiano ci saranno spazi di manovra e di responsabilità nelle geometrie interne Ue. Spazi che potrebbero ad esempio rivelarsi importanti quando si dovrà discutere sull’evoluzione di formule come il Next Generation Eu. Resta il fatto che tutti i governi europei sanno che Draghi gestisce però una fragilità endemica in patria, sia sul piano economico sia su quello politico. E questa è una zavorra di cui nessun premier italiano sembra in grado di liberarsi nel futuro prossimo”.
II rapporto della Germania con Stati Uniti, Cina e Russia cambierà?
“Il rapporto tra Germania e Stati Uniti sta cambiando da anni, almeno fin dall’era Obama. I tempi della Germania “prima della classe” della globalizzazione e della pax americana sono finiti. La differenza negli attriti geopolitici tra Berlino e Washington non è da tempo più nei contenuti, quanto piuttosto nella forma. Gli anni di Trump, che ha riservato un trattamento particolarmente ostile a Merkel, hanno però dimostrato quanto la stessa forma possa essere importante. Per questo, intanto, a Berlino si è tirato un sospiro di sollievo per l’arrivo di Biden e per il ripristino della buona educazione diplomatica sull’asse transatlantico. Le questioni geopolitiche, però, rimangono sul tavolo. Per gli USA resta un problema il legame energetico-strategico tra Germania e Russia, nonostante la questione Nord Stream 2 sia stata per ora temporaneamente risolta. Ancora più problematica per Washington è la relazione di Berlino con Pechino: la compenetrazione tra economia tedesca e cinese ha raggiunto negli ultimi anni livelli quasi irreversibili. Altro campo in cui Berlino dovrà prendere decisioni complesse è quello militare: con l’assottigliamento dell’ombrello USA sull’Europa emerge progressivamente la necessità di una maggiore autonomia – anche tedesca – nelle politiche di difesa. Se vogliamo tornare al tema dell’eredità del merkelismo, tutti questi nodi geopolitici sono stati per anni magistralmente gestiti (e congelati) dalla Kanzlerin. Merkel ha risolto tutto il risolvibile, ma ha anche procrastinato tutto il procrastinabile. Chi succederà a Merkel non potrà però continuare con la decelerazione e, anzi, dovrà affrontare interrogativi abbastanza pressanti. Se quindi ancora non si sa chi sostituirà Merkel, si sa già che nei prossimi anni il ruolo internazionale della Germania potrebbe evolvere con un ritmo differente rispetto al passato”.