Si chiama Farm To Fork ed è la nuova frontiera dell’alimentazione verso un sistema equo, sano e rispettoso dell’ambiente. Un obiettivo ambizioso contenuto nel Piano decennale per l’agricoltura approvato il 10 settembre 2021 dalle commissioni parlamentari europee congiunte Ambiente e Agricoltura. Sullo sfondo, il Green Deal europeo, la strategia dell’UE concepita per stimolare l’economia, migliorare la salute e la qualità della vita dei cittadini e tutelare la natura, per una crescita sostenibile e inclusiva.
Il Piano mira soprattutto alla riduzione dei pesticidi in agricoltura e all’aumento della produzione del biologico nell’intera filiera agroalimentare, nel segno di una produzione sostenibile e di una cooperazione con i Paesi Terzi, attraverso il miglioramento degli standard globali.
In questo contesto, un ruolo di primaria importanza lo giocano i biostimolanti, strumenti naturali sempre più indispensabili e in costante crescita, disciplinati dal regolamento europeo 2019/1009 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo al mercato dei prodotti fertilizzanti dell’UE (FPR). Il regolamento, includendo i biostimolanti nella categoria degli input delle colture, li ha definiti “prodotti in grado di stimolare i processi nutrizionali delle piante indipendentemente dal tenore di nutrienti dei prodotti stessi”, con l’obiettivo di migliorare fondamentali caratteristiche delle colture o della loro rizosfera, la porzione di suolo che circonda le radici delle piante: efficienza dell’uso dei nutrienti, tolleranza allo stress abiotico, cioè siccità, salinità, temperature estreme, carenze di nutrienti, stress da metalli pesanti e radiazioni ultraviolette, tutti fattori che costituiscono una minaccia per la produttività agricola.
L’FPR entrerà in vigore il 16 luglio 2022, al fianco delle diverse leggi nazionali vigenti in materia, e pare essere perfettamente in linea con la nuova strategia Farm to Fork che, tra i suoi obiettivi, annovera la riduzione delle perdite di nutrienti di almeno il 50 per cento entro il 2030 senza che si verifichi un deterioramento della fertilità del suolo. I biostimolanti, infatti, potrebbero aumentare l’efficienza dell’uso dei fertilizzanti fino al 25 per cento, contribuendo alla riduzione di circa 550mila tonnellate di azoto minerale che ogni anno vengono perse nell’ambiente a causa dei fenomeni di lisciviazione e di gassificazione.
Gli addetti ai lavori sono divisi
Critica, su questo punto, la visione di Vittorio Filì, presidente dell’Associazione regionale pugliese dei tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra) e promotore dal 2020, insieme ad Assofertilizzanti Federchimica, della Biostimolanti Conference. Filì afferma che “la riduzione del 50 per cento dei pesticidi è un numero buttato lì, senza una base scientifica, senza considerare quelle che sono le reali necessità delle varie filiere agricole. Tra l’altro, – continua – il paradosso vero è che in Italia abbiamo già affrontato un grandissimo percorso in materia, perché con il cosiddetto PAN, Piano di Azione Nazionale, dal 2014 è obbligatoria la difesa integrata, che autorizza l’utilizzo dei pesticidi solo in caso di necessità e per questo motivo molti prodotti sono già stati revocati”.
Un obiettivo nobile dunque, seppur con qualche riserva, in cui, nonostante tutto, il mondo dei biostimolanti entra a pieno titolo. Lo chiarisce a LumsaNews Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti: “Se da una parte i biostimolanti aiutano a fortificare un po’ la pianta, non è detto che questi la rendano anche immune dall’attacco di insetti e malattie”. O, come argomenta Filì: “I biostimolanti sono sostanze nutrizionali, non possono essere spacciate per sostanze volte alla difesa delle piante dalle malattie o dagli insetti. È importante capire la differenza”.
Tuttavia, quale sia il ruolo fondamentale che essi svolgono e l’importanza che hanno per il miglioramento delle colture lo chiarisce Luigi Pennuzzi, consulente agronomico nel settore orticolo, frutticolo e vivaistico: “I biostimolanti apportano un miglioramento nelle prestazioni delle coltivazioni del 10-15 per cento, in termini di qualità del frutto e di superamento delle situazioni critiche dal punto di vista climatico, come siccità o gelate. È utile però ricordare che essi non sostituiscono completamente i nutrienti, ma sicuramente aiutano a migliorare le qualità intrinseche del prodotto”.
Inoltre, l’FPR stabilisce anche l’obbligo per i biostimolanti di garantire l’effetto dichiarato sulle loro etichette. In che modo? Introducendo la necessità della conformità CE, per cui il singolo produttore fa valutare da un apposito ente accreditato dalle autorità nazionali se le caratteristiche del prodotto sono conformi o meno ai requisiti della norma. In questo senso l’Unione Europea sta già lavorando per l’uniformità e la standardizzazione del sistema ed entro aprile 2022 verrà pubblicato l’elenco degli standard armonizzati per i prodotti biostimolanti, ovvero la validazione dei claim, la presenza di contaminanti e altre sostanze non ammesse, la presenza di patogeni organici e di microrganismi benefici, la definizione della terminologia scientifica e l’indicazione dei metodi di campionamento specifici.
Federica Zanetti, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, spiega che “la regolamentazione europea in materia di biostimolanti e organismi biostimolanti è molto restrittiva, quindi non solo i prodotti andrebbero testati ma andrebbe dimostrata anche la loro efficacia reale, cosa che in passato non veniva fatta. Per questo motivo – dice – potrebbe esserci una certa controtendenza sull’uso di questi prodotti o meglio quelli che verranno testati, appunto”.
Il mercato ci crede
Ma il mercato non sembra avere paura. Secondo le stime, riportate durante la seconda edizione della Biostimolanti Conference lo scorso febbraio e marzo, il valore intorno a cui si attesta oggi è di circa 3 miliardi di dollari, destinati a diventare 5 entro il 2025. Un trend che viaggia su un costante 10-12 per cento di incremento annuo. In Europa, in particolar modo, secondo la European Biostimulants Industry Council (EBIC), sono 680 i milioni impegnati e ancor più nello specifico sono 50 quelli investiti in Italia.
“I numeri legati al mercato dei biostimolanti sono positivi, e ogni anno si assiste a una loro costante crescita”, sottolinea l’agronomo Pennuzzi. “La nuova strategia Farm to Fork potrebbe incrementare notevolmente questi numeri, perché sempre più rapidamente ci si sta rendendo conto del ruolo fondamentale che questi nutrienti svolgono per il miglioramento delle colture”.
“Quello dei biostimolanti è un ginepraio incredibile ma allo stesso tempo è un settore che cresce rapidamente”, conferma il tecnico dell’Arptra. “Sicuramente con la Farm to Fork avranno un ruolo maggiore, anche in relazione alla lotta allo stress abiotico per le colture, e in questo senso potrebbero essere delle sostanze che aiuteranno moltissimo. È chiaro che la ricerca si sta dando da fare, però siamo solo all’inizio”.
Un inizio che, nonostante le nobili intenzioni, sembra presentare già alcune criticità, rendendo non ancora scontata la corsa a un cibo futuro più sano. A partire dai tempi e i modi di applicazione del regolamento europeo sui fertilizzanti. In Italia il decreto legislativo 75 del 2010 riconosce come biostimolanti tutti i prodotti naturali a base di alghe, idrolizzati proteici di origine animale, estratti di erba medica e micorrize e, con il decreto legislativo del 10 luglio 2013, anche gli idrolizzati enzimatici di Fabaceae, che agiscono sulle colture stimolando positivamente le fasi vegetative e riproduttive delle piante. Ma i lavori di revisione, alla luce della nuova FPR, non sono ancora iniziati, pertanto sembrerebbe impossibile riuscire a concludere la pratica entro il 2022, come previsto dal regolamento.
La sfida del reciproco vantaggio
Ma, più in generale, una delle criticità maggiori riguarda proprio il rapporto con la Farm to Fork e l’obiettivo pur condivisibile di un’agricoltura sana e sostenibile, a tutela dei consumatori ma non a detrimento degli agricoltori. Facile a dirsi, difficile a farsi. Come afferma il rappresentante della Coldiretti: “Se le condizioni rimangono queste da parte dell’UE è molto probabile che aumenteranno le importazioni dall’estero, perché non si possono costringere i nostri agricoltori ad adeguarsi alle regole degli altri paesi e poi non pretendere lo stesso da parte dei Paesi Terzi. Serve che ci sia una sostanziale conformità verificata a campione”.
Più ottimista invece la visione di Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente, che chiarisce: “Ciò che più apprezzo della Farm to Fork è il tentativo di arrivare a un’agricoltura sostenibile, che diminuisca l’uso di pesticidi e valorizzi la biodiversità. È importante che si guardi alla tradizione e si ascolti la natura. La Farm to Fork stabilirà sicuramente un’armonia tra il concetto di sistema agricolo e natura e la forte riduzione di pesticidi e fertilizzanti che impone è il suo valore aggiunto”.
Pareri positivi e un forte clima di incertezza dunque coesistono, nonostante quello della sostenibilità agroalimentare sia da sempre un tema centrale nel dibattito europeo. Un traguardo che per il suo raggiungimento richiede, da parte di numerosi settori, una sinergia e un impegno importanti, concordi su strategie il più possibile rispettose dell’ambiente. Il mondo dei biostimolanti sta progressivamente crescendo e potrebbe rappresentare uno strumento efficace per il raggiungimento degli obiettivi della Farm to Fork. Una strategia i cui sviluppi potranno puntare, prima di tutto, su sostenibilità e innovazione.