È ancora presto per cantare vittoria ma i segnali sono più che incoraggianti. Era tempo che da Bruxelles non arrivavano squarci così aperti tra le nubi della crisi. Se saranno rispettate le promesse dei giorni scorsi, già oggi la Commissione europea dovrebbe porre ufficialmente fine alla procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per deficit eccessivo, datata 2009.
Il limite posto dai trattati europei per il rapporto Deficit/Pil nei bilanci degli Stati membri è del 3% e, già per la fine del 2013, il nostro Paese scenderà sotto tale quota d’allarme (le stime per il 2014 dicono che si potrà arrivare a 2,5%). Ma, come detto, non è ancora tempo di festeggiare. D’accordo, si spegneranno i riflettori puntati dall’Unione europea sui conti di casa nostra ma, parallelamente, si aprirà una lunga fase di riflessione e di studio. Anche perché l’UE pone le sue condizioni per scongiurare che si ripeta quanto avvenuto in questi anni.
Le richieste dell’Europa. Un programma di massima in sei punti da portare a compimento quanto prima. A cominciare dal consolidamento dei conti pubblici: l’Europa conta di avere, a livello continentale, un debito pubblico medio che si aggiri attorno al 60% del Pil mentre l’Italia, ad oggi, corre veloce verso il 132% (con un rapporto più che doppio). Per questo, nonostante dalla fine della procedura d’infrazione il governo Letta vedrà sbloccarsi circa 8 miliardi di euro, questi soldi saranno vincolati come minimo fino al 2014. Tradotto: niente investimenti di breve periodo ma riforme strutturali. Una strada che porta ad un bivio netto: scegliere tra interventi per migliorare la produttività del lavoro, su ulteriori riforme del mercato del lavoro e su finanziamenti destinati a ricerca e sviluppo o, al contrario, puntare dritto verso nuove tasse a copertura del deficit. Il taglio dell’imposizione fiscale sembra dunque, oggi, una chimera; il timore diffuso nella Commissione è che si possa presto tornare sopra al tetto del 3%.
Concorrenza, lavoro, impresa. Tra le altre priorità “imposte” dalla UE, l’esecutivo dovrà fare uno sforzo per rendere più produttivo il sistema bancario e scongiurare grandi crack come quelli di Antonveneta e Mps (anche se, su questo campo, le criticità accomunano la maggior parte degli Stati membri). C’è poi il nodo lavoro: Barroso e i suoi tornano a chiedere maggiore flessibilità, più tipologie di contratti a termine e sempre meno spazio alla mediazione dei sindacati. Capitolo tasse; qui l’imperativo è d’obbligo: allentare la pressione fiscale alle aziende, per rilanciare soprattutto le piccole e medi imprese e, con esse, il lavoro; anche perché, anziché diminuire, l’imposizione aumenta (gli ultimi dati la pongono a quota 48,2% del reddito). Un passaggio fondamentale per rilanciare l’economia per i tecnici di Bruxelles dovrebbe essere anche l’apertura dei mercati ad una maggior concorrenza; telecomunicazioni, servizi, trasporti: tutto dovrà essere prima o poi liberalizzato (seguendo l’esempio di buona parte dell’eurozona).
Migliorare la PA. Il libro mastro delle richieste si chiude, infine, con la più insidiosa delle priorità: cambiare (profondamente) ritmo alla pubblica amministrazione; i ritardi dovuti alla lentezza della burocrazia ricadono sugli altri settori alterando l’intero sistema-Paese. Una situazione non più tollerata oltreconfine.
Per il premier Letta, dunque, la vera sfida inizia solo ora: dimostrare affidabilità all’Europa, riuscendo a soddisfare almeno in parte i diktat dell’Unione, e far ripartire quanto prima la nostra economia. Per oggi si può brindare al (parziale) successo; perché da domani ci sarà da lavorare sodo.
Marcello Gelardini