Nell’ambito dell’inchiesta sulla violenza del regime di Lukashenko in Bielorussia, Lumsanews ha chiesto un commento al professor Francesco Guida, ordinario di Storia dell’Europa Orientale all’Università degli Studi di Roma Tre.
Lukashenko mira a mantenere il controllo sul Paese, con in programma la riforma della Costituzione. Pensa ci siano reali possibilità che venga spodestato e che le continue proteste abbiano successo?
“Per rispondere è necessario capire quali fattori della società bielorussa sostengano l’uomo forte, al potere da oltre un quarto di secolo. Sia pure in modo non lineare e talora contraddittorio, un fattore pressoché determinante è il sostegno della Russia, fattosi più evidente negli anni della presidenza Putin, poco meno longeva di quella Lukashenko. Come in tutti i regimi autoritari, conta molto il circolo degli uomini che detengono la “forza”: polizia, forze armate. Inoltre gioca un ruolo importante il robusto ceto che, occupando alcune posizioni nell’amministrazione e nel governo o sottogoverno, trae vantaggio dal regime. Forse è ancora più importante il consenso più o meno convinto e più o meno parziale di larghi strati sociali che hanno ancora timore dei costi della trasformazione avviata dal 1991 dello Stato socialista (comunista) e dell’economia di comando, in Stato democratico-liberale e in economia di mercato”.
Cioé?
“Si tratta di un fenomeno visto anche in altri Paesi che hanno conosciuto regimi di stampo sovietico, sebbene poi gli esiti siano stati ben diversi dal caso bielorusso. Negli Stati occidentali, dove il modello sovietico è stato respinto e combattuto (negli anni della Guerra fredda) non mancarono – e non mancano – misure economiche e sociali che non facessero pesare su alcuni strati sociali i costi della libertà economica, più che la libertà in assoluto. Qualche cosa di vagamente simile è avvenuto in Bielorussia con una politica di protezione sociale e di controllo del mondo del lavoro (che ha generato consenso) al prezzo però di una democrazia chiaramente deficitaria, con un notevole ricorso a misure di polizia, e di uno sviluppo non pienamente soddisfacente delle potenzialità produttive del Paese. Da ciò l’insoddisfazione e le proteste di una buona parte della popolazione soprattutto in fasi di economia calante o quando il ricorso alla carta della sovranità nazionale si è fatto meno credibile, soprattutto in ragione delle dinamiche nel rapporto con il potente vicino russo. I tre fattori citati per primi possono venire meno, soprattutto quando Lukashenko verrà giudicato personaggio usurato da Mosca, dai servizi di sicurezza e dai militari (coloro che protestano cercano ovviamente di favorire un cambio di opinione di tal fatta), mentre il consenso verso alcune politiche governative sembra essersi assottigliato e sul punto di perdere la funzione di legittimazione sociale che ha avuto, sia pure in misura limitata e in un contesto condizionante (sostanzialmente non democratico). La parabola di Lukashenko tende dunque alla curva calante, avendo annunciato che dopo l’approvazione della nuova Costituzione non sarà più presidente, ma c’è da chiedersi se lascerà in eredità ai suoi concittadini lo Stato quale egli lo ha voluto (eventualmente con un altro uomo forte) o in via di trasformazione in Stato liberal-democratico”.
Lukashenko, parlando di vera e propria “guerra lampo” ha dichiarato che vari fattori esterni abbiano influenzato il movimento di protesta del 2020, trasformando la Bielorussia in un “campo di prova”. Ci sono state ingerenze straniere determinanti?
“Alla Bielorussia, alla sua posizione geopolitica e alla sua economia, non si può dare un’importanza eccessiva. Certo la natura e le gesta del suo regime sembrano una sfida non agli interessi dell’Unione Europea e degli USA, ma piuttosto ai loro principi ispiratori. E pertanto non possono essere lasciate inavvertite. Dirottare i commerci della Bielorussia verso ovest ha un suo significato ed è in parte possibile, ma non sembra un obiettivo irrinunciabile, come pare abbastanza irrealistico pretendere che essa abbandoni la Comunità degli Stati indipendenti (come l’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva oppure l’Unione economica eurasiatica) e soprattutto il solido rapporto con Mosca”.
Quindi è un no?
“È chiaro che nelle capitali europee e a Washington esiste una certa attenzione per le vicende bielorusse, per cui si fornisce un qualche appoggio all’opposizione che sfida Lukashenko. Giungere a parlare di agenti manovrati dall’estero sembra, tuttavia, una esagerazione della propaganda di regime che segue schemi noti e sperimentati in ogni parte del mondo. Di più, i governi europei (uti singuli o con la voce dell’Unione Europea) non giungerebbero mai a forzare la mano al regime bielorusso senza il consenso di Mosca. In maniera autonoma possono, invece, continuare un’azione di pressione politica ed economica (fattasi più pesante dopo le elezioni presidenziali del 2020 ma non tuttavia decisiva) sperando in una ancora più vivace evoluzione del quadro politico interno”.
La Russia di Putin sembra aver stretto il controllo su Lukashenko. L’immagine del loro incontro qualche mese fa risultò emblematica del rapporto di forza tra uno e l’altro. Qual è l’interesse russo nella “rivoluzione bianco-rossa”?
“Se a Mosca si fosse certi di tenere sotto controllo e non avere ricadute interne dal successo dell’opposizione a Lukashenko, è probabile che lo avrebbe lasciato al suo destino, con un atteggiamento che avrebbe creato separazione tra il dittatore e le forze che più da vicino lo secondano e ne accettano ancora gli ordini. Sembra altrettanto probabile che qualsiasi regime bielorusso non potrebbe mai assumere un atteggiamento ostile verso la Federazione russa. Lo attestano anche alcune dichiarazioni degli oppositori. Le vicende ucraine e georgiane sono state più che significative, tanto che allarmarono – se la notizia è corretta – persino lo stesso Lukashenko. Una maggiore autonomia da Mosca può essere solo parziale e frutto di un lentissimo processo per una somma di motivi evidenti che qui non si possono trattare nel dettaglio. È sufficiente, tuttavia, ricordare la dipendenza nel settore energetico”.
L’Unione Europea ha applicato alcune sanzioni ma è rimasta timida nello svolgere un ruolo più proattivo di denuncia o mediazione. Bruxelles potrà avere un impatto maggiore sulla vicenda?
“L’Unione Europea può fare più di quanto non abbia già fatto e tuttavia non ha modo di mettere in crisi in modo radicale e in tempi brevi il regime bielorusso. Il “lavoro ai fianchi” da tempo avviato si dovrebbe fare più costante senza compiere ogni tanto qualche passo indietro dettato da comuni e naturali interessi commerciali. Maggiori speranze – sulla base di esperienze storiche diffuse e ben note – possono venire dall’eventuale crescita delle relazioni culturali, ancor più che economiche e commerciali: esse possono indurre in Bielorussia un ampliamento e rafforzamento degli elementi sociali che sarebbero portati a indebolire dall’interno e superare il regime autoritario e paternalistico che vige dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso”.