“Difendo gli interessi del paese”. Così il premier Mario Draghi ha annunciato in Parlamento l’intenzione di recarsi in Libia il 6 o 7 aprile per sostenere “il governo di unità nazionale di Tripoli”.
Numerosi sono gli interessi italiani nella regione: dal punto di vista energetico il paese nordafricano rappresenta il 16 per cento della produzione complessiva di idrocarburi di Eni, mentre sotto il profilo della sicurezza le principali rotte dei migranti diretti in Italia passano attraverso i deserti libici. Dopo la sconfitta militare nel giugno dello scorso 2020 del generale cirenaico Karisha Haftar e la formazione del nuovo esecutivo di “unità nazionale” guidato da Abdul Hamid Dbeibah, Draghi insiste perché “l’Italia giochi un ruolo di pace e stabilità tra i diversi attori presenti nella regione, in particolare Russia, Turchia e Egitto”.
Un compito complesso, ma che il premier italiano intende affrontare “con le armi della diplomazia”. Parigi e Roma sono in allineamento sul dossier libico dopo anni di divergenze e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, con il collega francese Jean-Yves Le Drian e quelle tedesco Heiko Maas, sono quest’oggi in missione europea a Tripoli “per portare avanti una politica unitaria della Ue nella zona, anche a livello di intelligence”. Una mossa che viene dopo l’incontro del titolare della Farnesina con il segretario di Stato statunitense Anthony Blinken, che aveva “detto di vedere positivamente il ruolo di guida di Roma per la stabilità della Libia e del Mediterraneo”.
Si tratta di una strategia complessiva, in cui Draghi non fa mistero di voler utilizzare “il saldo legame con gli Stati Uniti” per frenare eventuali escalation militari tra la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan e l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi, legati a doppio filo alla politica Nato e per arginare l’influenza russa in Libia.