Lorenzo Di Muro è giornalista di Limes (la Rivista italiana di Geopolitica). Ha raccontato a Lumsanews la rilevanza geopolitica del Myanmar.
Come si spiegano le differenze di reazione tra Stati Uniti e Paesi come la Cina?
Cina e Russia hanno fatto passare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che invitava tutte le parti coinvolte ad astenersi dal commettere violenze. Che è molto diversa da quella proposta dalla Gran Bretagna, che definiva come golpe quanto accaduto. Ma la reazione tiepida è venuta non solo dalla Cina, ma anche da Paesi come India e Giappone. Il Myanmar è fondamentale per gli equilibri del Sud Est Asiatico. Per questo, Giappone e India si rifiutano di esporsi direttamente nelle sedi multilaterali come l’Onu. Anzi, in questi anni hanno stretto rapporti anche sul fronte militare con la giunta birmana. Testimone di questo è la cessione di un sottomarino alla marina birmana da parte dell’India alla fine del 2020.
Gli Usa, invece, si sono espressi da subito condannando il golpe. Cosa che avevano fatto anche durante la crisi della Thailandia, quando la giunta militare aveva preso il potere, imponendo sanzioni che impedivano le transazioni con i vertici militari o ne bloccavano i fondi negli Usa. Tuttavia c’è da ricordare che, alla luce di interessi strategici che non potevano essere subordinati a contingenze politiche, hanno continuato a preservare il rapporto di sicurezza che c’era con la Thailandia. Inoltre, se Paesi come Thailandia, Filippine e Cambogia, non hanno condannato con decisione il golpe, è anche perché loro per primi non sono regimi democratici. Nell’Indocina, la parola “democrazia” ha sfumature molto diverse da quelle a cui siamo abituati noi.
Perché il Myanmar è così importante per la Cina?
Il Myanmar è fondamentale per gli equilibri del Sud Est asiatico. Per la Cina perché è una porta di accesso decisiva nella Baia del Bengala, che poi porta all’Oceano Indiano, permettendo di aggirare lo stretto di Malacca. Questo stretto, un collo di bottiglia navale fondamentale per l’economia e per i commerci dei paesi di tutta l’Asia orientale tra l’Oceano indiano e l’Oceano pacifico, è controllato dagli Stati Uniti. In caso di conflitto, la marina statunitense e i suoi alleati potrebbero bloccare questo stretto e interdire l’approvvigionamento anche energetico, oltre a bloccare i commerci cinesi. Quindi la Cina ha bisogno di diversificare il suo approvvigionamento energetico, oltretutto perché il Myanmar è un Paese ricchissimo di risorse energetiche, di terre coltivabili, ha una forza lavoro e delle condizioni economiche che favoriscono gli investimenti esteri. La Cina ha costruito un gasdotto e un oleodotto che corrono paralleli dallo stato di Rakin fino allo Yunnan.
La Cina, inoltre, vede nel Myanmar uno dei Paesi fondamentali per allontanare la prima linea di difesa dai propri confini. In particolare nel confronto con l’India, principale rivale regionale di Pechino, il Myanmar è una posta in gioco fondamentale. Non è un caso che la Cina sia il primo partner commerciale nel Paese, il secondo suo investitore diretto estero. Oltre ad avere un’importanza esponenziale nei commerci delle regioni a cavallo del confine. Ed è importante anche perché permette lo sviluppo economico di regioni, come lo Yunnan, tra le più arretrate dal punto di vista economico. È un Paese che potrebbe permettere alla Cina di avere un accesso diretto all’Oceano indiano e sfidare il predominio di americani e alleati nel controllo di rotte fondamentali (in inglese Sloc, Sea Lines Of Communication). Ovviamente questo nel lungo periodo, perché la Cina ragiona con orizzonti temporali molto diversi da quelli a cui noi siamo abituati. Il Myanmar è anche uno degli scali compresi in quello che gli Stati Uniti definiscono la “strategia della collana di perle”, ovvero quella serie di porti che lungo l’Indocina passano per lo stretto di Malacca e convergono nell’Oceano Indiano.
La Cina ha quindi interesse a mantenerlo stabile e a evitare che scivoli nell’area di influenza di paesi come India, Stati Uniti e Giappone, che hanno costruito un asse di contenimento, chiamato Quad. È quindi un Paese assolutamente strategico, e su questo i militari contano per evitare che ci siano delle reazioni che impediscano di portare avanti questo golpe.
Il Paese rientra anche nel progetto delle nuove vie della seta?
Assolutamente, ma non solo il Myanmar. Lì vicino, anche il Pakistan è coinvolto nel progetto. E se ci pensi, Pakistan e Myanmar sono due paesi che circondano l’India. E infatti l’India ha il timore di trovarsi, da un lato, il corridoio sino-pakistano e, dall’altro, il corridoio sino-birmano. Quindi di essere accerchiata, oltre alle tensioni lungo il confine, completamente dalla Cina.
Quello delle nuove vie della Seta è sicuramente un progetto infrastrutturale, commerciale e finanziario, che però risponde a esigenze interne della Cina, oltre che geopolitiche. Di certo non è un piano Marshall.
Dal punto di vista degli Stati Uniti, quali sono gli interessi nel Myanmar?
Washington vuole impedire alla Cina di espandersi nel suo “estero vicino”, dai Mari Cinesi all’Indocina. Perciò, per gli americani è importante che il Paese non diventi un’altra Cambogia o un altro Laos, gli unici due paesi del Sud est asiatico che possano essere considerati filo cinesi. Gli Usa sfruttano legami indiretti, come l’India e Singapore, primo investitore estero in Myanmar e alleato degli Usa che deve la propria sopravvivenza a questi rapporti con l’Occidente. Gli Usa hanno interesse ad evitare che i cinesi riescano ad aggirare lo Stretto di Malacca. Devono evitare che i cinesi continuino a costruire porti lungo quelle rotte che tagliano Malacca e che passano dall’Oceano Indiano fino allo stretto di Hormuz o al Mar Rosso. Quindi questo è il vero obiettivo degli americani. Se si guarda una carta geografica, è chiaro come il Myanmar abbia un’importanza geografica fondamentale. Quindi dare il controllo del Paese alla Cina altererebbe gli equilibri geopolitici del Sud Est Asiatico, e non solo. Infatti, la Baia del Bengala e il Mare delle Andamane sono l’accesso occidentale dello Stretto di Malacca, ed è proprio lì che l’India, negli ultimi vent’anni, nelle isole Andamane e Nicobare ha installato un comando congiunto per monitorare la proiezione della Cina nell’Oceano Indiano, in quanto vede quel braccio di mare come propria area di influenza. Per questo ha tutto l’interesse a evitare che la Cina continui a proiettarsi nell’Oceano Indiano. Quindi, il Sud Est Asiatico è diventata, di fatto, un’area dove si sovrappongono le proiezioni di due rivali regionali, Cina e India, e su cui gravitano gli interessi che coinvolgono direttamente gli americani, che non possono permettere che la Cina continui a proiettarsi così verso l’Oceano indiano, oltre al Mar Cinese meridionale, dove hanno altre postazioni.
Le sanzioni da parte di Stati Uniti ai vertici dell’esercito sono efficaci o rischiano di far scivolare il Myanmar nell’orbita cinese?
Bisogna vedere che tipo di sanzioni vogliono applicare, oltre a quelle che hanno già imposto. E che erano doverose per un Paese che si dichiara difensore dei diritti umani e la democrazia. C’è un gioco molto sottile tra la necessità di non alienarsi completamente il Paese, che avrebbe l’effetto di farlo scivolare nell’orbita Cinese, e dall’altro di mantenersi coerente con l’impostazione retorica che permea tutta la politica estera americana. Poi, che questa sia sostanziale o meno è un altro discorso.
Quanto all’Ue, così come tutto l’occidente, ha incrementato le sue esportazioni e importazioni, garantisce al Myanmar un regime agevolato, come per tutti i paesi in via di sviluppo. Anche qui bisogna vedere se l’Unione deciderà di limitarsi a sanzionare i militari o se deciderà, invece, di bloccare questo regime di agevolazioni tariffarie. Questo avrebbe sicuramente un effetto sull’economia del Paese.
C’è però da dire che, dal punto di vista commerciale, finanziario e degli investimenti, il Paese è molto più legato all’Asia che non all’Occidente. Quindi dipenderà molto dal tipo di sanzioni che verranno applicate. Soprattutto Washington, anche perché è difficile che l’Ue prenda decisioni molto diverse da quelle americane.