Ad Anchorage, in Alaska, il primo summit tra Cina e Stati Uniti dell’era di Biden parte in salita. Ieri sera Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha avviato l’incontro, accusando Pechino di «minacciare» la stabilità globale. La diplomazia cinese ha prontamente replicato: «Gli Stati Uniti non rappresentano più il mondo occidentale».
L’incontro di due giorni, che oggi entra nel vivo, era stato visto dai funzionari americani come un’opportunità per esporre le rispettive controversie e trovare punti di contatto per una cooperazione. Nel dettaglio, la delegazione cinese ha cercato di capire la disponibilità della nuova amministrazione di statunitense a rimuovere alcune restrizioni. La prima, sulle forniture alle società di telecomunicazioni come Huawei. La seconda, sui visti di ingresso per i componenti del Partito comunista cinese o per gli studenti.
Altri due temi chiave: la diffusione dei vaccini cinesi a livello mondiale e i piani per contenere il cambiamento climatico.
Infatti, nell’audizione al Congresso del 9 marzo, Blinken aveva escluso che gli Stati Uniti potessero commercializzare il siero cinese Sinovac in cambio di concessioni su altre questioni, come la tutela dei segreti tecnologici delle multinazionali americane attive in Cina. Per quanto riguarda l’inquinamento globale, gli Usa chiedono maggiori sforzi cinesi, dopo che Biden ha riportato il suo Paese all’interno dell’accordo di Parigi.
L’idea di questo incontro era maturata dopo una telefonata tra i due presidenti, lo scorso 10 febbraio. Biden e Xi Jinping avevano aperto anche alla possibilità di incontrarsi a breve. Ora si parla di un possibile appuntamento per il 22 aprile, a margine della conferenza sul clima voluta dal presidente americano. Anche se al momento l’atmosfera non è delle migliori. Infatti non ci sarà neanche un comunicato congiunto finale.